La testa d’idra del razzismo di stato

by Sergio Segio | 2 Novembre 2012 8:26

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Sul Piano Nomadi della giunta Alemanno si è scritto di tutto. I mezzi di informazione hanno riservato costantemente spazio, chi per esaltazione, chi per denuncia, a quello che lo stesso sindaco della Capitale definì una «rivoluzione copernicana». Ma nel vortice della cronaca quotidiana, utile anche a sostanziare una certa diatriba politica, non è facile isolarne il disegno e coglierne a pieno il senso. Il libro Sulla pelle dei rom – Il piano nomadi della giunta Alemanno (Edizioni Alegre) scritto da Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio ed esperto di questioni sociali, lo ricostruisce perfettamente. 
Il racconto è una cronaca lucida e precisa di quanto accaduto alla popolazione rom di Roma durante il governo della città  di Gianni Alemanno. Un susseguirsi di date, eventi, testimonianze circostanziate e racconti dettagliati. E il disegno di segregazione e razzismo, nel senso di politiche e azioni elaborate e messe in pratica nei confronti di una determinata etnia, è chiaro fin dall’inizio. Scrive nella prefazione Leonardo Piasere, professore ordinario di antropologia culturale all’Università  di Verona nonché uno dei massimi esperti della storia e delle culture rom: «credo che il Piano Nomadi dell’amministrazione Alemanno entrerà  nella storia dei rom (…) come uno degli esempi della capacità  metamorfica dell’antiziganismo». L’invito al lettore di Piasere nella prefazione, perseguita per il resto delle pagine: «mettete, nella lettura del presente libro, la parola “ebreo”, ogni volta che compare “rom” o “nomade”».
Concentrare tutti i rom della Capitale in 13 «villaggi attrezzati» localizzati ai margini della città , anche se a distanza di tre anni quasi nessuno dei nuovi campi è stato realizzato, è l’obiettivo principale del Piano. I rom che vivono da anni in insediamenti tollerati, vengono ammassati nei sette campi «attrezzati» già  presenti. A gennaio 2010, lo sgombero di Casilino 900 entra a far parte della storia della Capitale. Gli seguono l’insediamento di La Martora e Tor de’ Cenci. Tolleranza zero per gli insediamenti informali sgomberati al ritmo di 3-4 azioni a settimana con modalità  che fanno discutere e di 15-20 mila euro (stimati) a operazione. Nella seconda metà  del 2012 si sfora la quota dei 450 sgomberi e dei 7 milioni di euro totali. I circa 80 insediamenti informali contati all’inizio del Piano con la «cura-sgombero» diventano oltre 500. La paura porta a nascondersi sempre di più. Nel dicembre 2009 il Comune di Roma, in accordo con il prefetto Giuseppe Pecoraro, commissario all’emergenza «nomadi» decretata nel maggio 2008 dall’allora premier Silvio Berlusconi, inizia la schedatura delle comunità  rom e sinti della città . Si apre uno Sportello Nomadi, si raccolgono le impronte, anche delle persone già  in possesso di documenti, non si risparmiano neanche i bambini, si scattano fotografie singole e di famiglia, si registrano eventuali tatuaggi. Delle parole d’ordine con cui era stato presentato da Alemanno il Piano Nomadi, “«egalità » e «solidarietà », alla fine del libro di Stasolla non rimane più nulla. Il 13 dicembre 2011 un anziano che vive in Italia da 40 anni, trasferito in uno dei «villaggi attrezzati» spiega al vicesindaco Sveva Belviso: «è come Auschwitz!». Ecco la sua risposta: «se lei vuole stare a Roma, vive in un campo autorizzato. Sennò fate le valigie e annate dove ve pare, fuori da Roma!». Stasolla però non illude il lettore. 
Il Piano Nomadi della giunta Alemanno è come una delle teste di Idra, ricresciuta dal sangue di una testa precedentemente recisa. Il «campo nomadi» delle precedenti giunte di Rutelli e Veltroni non è diverso da quelli di Alemanno. Lungo tutto il libro un dato accompagna quella che Piasere definisce «cruda esposizione, concatenazione e cronologia dei fatti»: le cifre dei soldi spesi per realizzare e mantenere nel tempo tutto ciò che viene raccontato. Stasolla la chiama «azienda Piano Nomadi». Dalla costruzione e manutenzione dei campi alla loro gestione e sorveglianza fino ad arrivare ai progetti di integrazione e di scolarizzazione. 450 dipendenti per un fatturato annuo di 20 milioni di euro. Di questi, scrive Stasolla nelle conclusioni, «poco o nulla si trasforma in servizi adeguati nei confronti delle famiglie rom».

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