La strategia del guru 5 Stelle dopo l’opa sui dipietristi
ROMA — È il salto del Grillo. Quello atteso da tanti e da tempo, quello temuto dai partiti. Il leader abbandona il movimento astratto e virtuale, lancia via web la sua candidatura a premier “favorita” dal Porcellum e, con l’opa di queste ore sul partito in rotta di Antonio Di Pietro, entra nella fase due.
È il salto di qualità . Parte la corsa alle candidature, ma anche la distribuzione dei ruoli di potere istituzionale. E dunque di poltrone. La nomination dell’ex pm alla Presidenza della Repubblica sembra una mezza provocazione, è la stretta su un partito strutturato, dotato di gruppi parlamentari, di sedi e amministratori locali, sindaci di Napoli e Palermo, centinaia di consiglieri. E cammina di pari passo con il lancio in rete di un’altra proposta, ben più seria e pesante, quella dello stesso comico genovese alla presidenza del Consiglio. Col terremoto in corso «tutto è possibile », se ne sono ormai convinti al quartier generale della Casaleggio Associati. L’exploit del Movimento 5 stelle divenuto primo partito in Sicilia ha segnato la prima vittoria sul campo su vasta scala, dopo Parma. Il segnale che Beppe Grillo e GianRoberto Casaleggio attendevano, prima di lanciarsi alla conquista di Montecitorio e Palazzo Madama. Il secondo, la «mente raffinata» del duo, continua a predicare la «natura di movimento» del Cinque stelle e a tagliare corto: «Noi non abbiamo bisogno di indicare un premier».
Ma il primo passaggio avviato adesso e neanche tanto sotto traccia è proprio la scalata a Palazzo Chigi. «Io devo essere il capo politico del movimento, ma il mio è un ruolo di garante, vedere chi entra e chi esce» scrive l’ex comico nel “Comunicato politico numero cinquantatre” pubblicato il 29 ottobre. Nelle stesse ore di lunedì in cui tutti erano assorbiti dai commenti sulla loro vittoria in Sicilia, Grillo era oltre, dettava le regole per le candidature in Parlamento e affermava la sua leadership. Lo scenario ora si fa meno nebuloso. Anche in caso di elezioni anticipate, la macchina è pronta, già in corsa. «Sarà lui il capo della coalizione, che in linguaggio non tecnico significa candidato premier» ha già spiegato Giovanni Favia, consigliere regionale M5s in Emilia-Romagna e finito in rotta di collisione coi i due guru del movimento, dopo averli accusati in un fuori onda di scarsa trasparenza interna. Ma su quello che sta accadendo il giovane consigliere (rimasto comunque dentro) ha le idee chiare. «Grillo è il capo della coalizione e il capo della coalizione è di fatto il candidato premier». Il muro contro muro sulla legge elettorale, Berlusconi che rimette in discussione il quasi-accordo raggiunto al Senato, rischia di salvare il Porcellum. E col sistema in vigore, anche il terzo comma dell’articolo 14 della norma-Calderoli. Che recita: «Contestualmente al deposito del contrassegno, i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica ». Capo destinato a essere il candidato premier, come avvenuto con Prodi e poi Berlusconi. E sarà un caso, ma guarda caso in quel “Comunicato cinquantatre” sul blog, è proprio così che il leader si definisce e si presenta ai suoi: «Il MoVimento 5 Stelle (M5S) promuove la presentazione alle prossime elezioni politiche del 2013 di liste di candidati che si riconoscano nel Programma del MoVimento e nel suo capo politico Beppe Grillo».
Definita la candidatura, ecco l’abbraccio «mortale» al “Tonino” ferito dalle inchieste giornalistiche e dalle divisioni interne di questi giorni. È la lettura che ne fanno in queste ore molti preoccupati dirigenti Idv. Del resto è da dieci giorni che il leader del M5s sonda in rete l’asse con l’Italia dei valori, partito che vacilla pericolosamente a cavallo della soglia di sbarramento. E lo ha fatto utilizzando tutta la sua potenza di fuoco sul web. Il fortino di Casaleggio vanta il supporto di almeno dieci internauti capaci di un indice klout superiore a 75 (indice che valuta da 1 a 100 la capacità di influenza sui social network). Vuol dire che ciascuno di quei dieci “megafoni” è in grado di contattare, influenzare, condizionare almeno 100 mila persone, centomila elettori. Dunque un milione, giusto per capire di che numeri parliamo. E di quanto il virtuale stia acquisendo nel giro di poche settimane peso politico reale, si stia trasformando in consensi e voti.
Il deputato Pd Mario Adinolfi — tra i più attenti osservatori e frequentatori del web — racconta di aver avvertito già un mese fa Bersani di quanto si stava muovendo in rete. Ovvero del fatto che «Grillo e l’Idv andavano verso la fusione, ma sono stato ignorato dai più». E ora ragiona: «La candidatura avanzata per Di Pietro al Quirinale, l’avvio del percorso di scioglimento dell’Idv, alcune mobilitazioni in area Fiom, tutti i processi in atto in queste ore erano ampiamente annunciati sul web». L’ala estrema della Cgil, la ridotta “legalitaria” dipietrista e il popolo dell’antipolitia grillino, la miscela esplosiva per far saltare il Palazzo.
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