La scorta e le cassette di sicurezza Tutti i misteri del sequestro Spinelli

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MILANO — «Corre l’obbligo di sottolineare — riassumono i pm Ilda Boccassini e Paolo Storari — che non tutta la dinamica di quanto si è verificato quella notte risulta chiara, come pure le ragioni per le quali è stata prescelta come obiettivo la famiglia Spinelli, persona vicina all’onorevole Silvio Berlusconi per essere da sempre il suo contabile», nonché addetto alla «gestione delle somme di denaro che venivano elargite alle partecipanti alle cene presso la residenza di Arcore del Presidente del Consiglio dell’epoca».
Eppure non c’è ombra di dubbio che il sequestro-lampo del ragioniere e di sua moglie sia davvero avvenuto (peraltro preparato sin da giugno) nella loro casa a Bresso la notte tra il 15 e 16 ottobre, e con modalità  violente (Spinelli ferito al volto e con gli occhiali a pezzi mentre la moglie teme li ammazzino) da parte di uomini armati, mascherati da passamontagna, guidati da un ex collaboratore di giustizia legato a un clan barese e in possesso a loro avviso di materiale contro Carlo De Benedetti e Gianfranco Fini: audio e video che per loro sarebbero «serviti a Berlusconi anche a livello mondiale» per ribaltare i 560 milioni che la Fininvest è stata condannata in Appello a pagare alla Cir di De Benedetti per la corruzione tramite l’avvocato Previti nel 1991 di uno dei giudici (Metta) del lodo Mondadori. Ma se permane la sensazione che manchi qualche importante tassello, è anche per la peculiare scelta tempistica dell’entourage berlusconiano di non denunciare subito il grave episodio.
Denuncia in ritardo di 31 ore
Un fax dell’avvocato Ghedini, preannunciato con breve anticipo, avvisa infatti la Procura non quando Spinelli era ormai stato lasciato libero dai sequestratori, alle 9 del mattino del 16 ottobre, ma soltanto alle 16.20 del 17 ottobre; e intanto sono gli uomini di Berlusconi a occuparsi direttamente della protezione di Spinelli portandolo in una località  segreta, anziché farlo fare alla polizia. In questa finestra di ritardo finisce così per perdersi ad esempio la telefonata che i banditi fanno a Spinelli alle 14.51 del 16 ottobre per conoscere la risposta alla loro richiesta: sarebbe potuta essere intercettata se gli inquirenti fossero stati avvisati, e avrebbe dato un enorme vantaggio alle indagini.
Scorta privata e telefonata persa
Lo riferisce ora lo stesso Spinelli: «Dopo che ho raccontato i fatti al presidente Berlusconi, lui mi ha detto che dovevo necessariamente per ragioni di sicurezza dormire altrove, cosa che si è verificata. Mia moglie ha cominciato a fare le valigie e verso le 15 è arrivata sull’utenza fissa di casa una telefonata, questa persona mi ha subito chiamato Giuseppe e mi ha chiesto che cosa si fosse deciso riguardo alla proposta che avevano fatto. Io ho risposto che in quei termini non era accettabile, che avevo cercato di convincere Berlusconi che voleva vedere però i filmati e fare una cosa poi trasparente. Lui ha interrotto la telefonata con aria un po’ brusca. Ho chiamato subito l’avvocato Ghedini e poi anche Berlusconi, gli ho raccontato la telefonata, hanno mandato una macchina che ci facesse da scorta per il trasferimento da casa mia alla località  segreta». «È facile fare gli eroi con la pelle altrui — spiega ieri Ghedini —, Spinelli era terrorizzato dalle minacce ricevute, appena ho avuto il suo ok ho chiamato il procuratore Bruti.
Le cassette di sicurezza
Fatto sta che, se per i pm «non si può escludere che nelle cassette di sicurezza» (di cui poi discuteranno i banditi intercettati) «sia custodito denaro provento del sequestro», non è solo per la richiesta a voce dei 35 milioni quella notte in cambio di materiale su De Benedetti, Fini e magistrati. È soprattutto perché i banditi aprono in effetti una cassetta di sicurezza alla Banca di Credito Cooperativo di Buguggiate un mese prima, e un’altra al Credito Valtellinese di Varese 6 giorni dopo; le visitano due volte, il 22 e 25 ottobre; e vi ripongono (ricorda un’impiegata) una busta di plastica. In più ci sono le intercettazioni che l’11 novembre colgono Maier (uno degli arrestati, quello coi contatti in Svizzera) parlare di una sorta di nascondiglio chiuso da una «botola» (che Leone chiede se sia abbastanza grande per nascondere «una valigia piena di soldi») e preoccuparsi che venga scoperta una cassetta di sicurezza: «Io anche quei soldi lì li porterei via da lì, perché prima o poi me l’aspetto che vengono a vedere quelle cassette, allora pronti, che ci son dentro? L’oro di famiglia, che cavolo volete? Capito? Li vai a depistare così. E poi li portiamo tutti in Svizzera, basta, via».
Il Dna sul tappo
Rintracciare la banda (3 italiani e 3 albanesi) nel frattempo non è facile per il capo della Mobile Alessandro Giuliano e il dirigente di polizia giudiziaria Marco Ciacci (che fece già  l’inchiesta sul Rubygate): devono pescare l’esile filo del primo errore della banda nel mare di schede telefoniche intestate a inesistenti extracomunitari, far parlare i tabulati telefonici, setacciare i fotogrammi delle telecamere puntate sulle cabine della stazione di Malnate, inseguire un paio di scarpette rosse con i lacci neri che in effetti li porteranno sino allo sfegatato milanista ex collaboratore di giustizia Francesco Leone. E pedinare i sospetti sia allo stadio per Milan-Fiorentina sia in un ristorante a caccia dei loro bicchieri, in modo da trovarvi ad esempio lo stesso dna di Leone rimasto sul tappo di una bottiglia la notte del sequestro a casa Spinelli.
La rapina-stratagemma dei pm
Poi ci vuole anche una botta di fantasia quando le intercettazioni in auto fanno intuire che i banditi attendono un contatto in una banca svizzera per «portarvi il denaro: sia “quello là “, sia quello contenuto al Credito Valtellinese, mettendo al suo posto (nella cassetta di sicurezza, ndr) cartaccia e oggetti inutili». Giovedì 15 novembre si preparano quindi «a prelevare dagli istituti bancari di Buguggiate e di Varese il contenuto delle cassette». In extremis, i pm convincono allora gli impiegati a fingere in un caso che l’istituto sia chiuso per aver appena subìto una rapina, e nell’altro che gli sportelli siano chiusi per un incidente. E quando i banditi stanno per ripresentarsi ieri, vengono arrestati su ordinanza che il gip Paola Di Lorenzo ha emesso domenica 18 novembre su richiesta venerdì 16 dei pm. Che ieri nelle cassette in banca trovano solo banconote false, appunto la «cartaccia». E per ora nessuna traccia degli audio e video: Spinelli racconta che i sequestratori glielo stavano facendo vedere, ma l’operazione sarebbe fallita per l’incompatibilità  del formato della Usb con il computer di casa.
«Otto milioni», «svariati milioni»
Il gip è prudente nel tirare le conclusioni, ma valorizza le intercettazioni: «Il pm ipotizza che possa trattarsi di una parte del riscatto» (escluso ieri categoricamente da Ghedini) «che potrebbe essere stato pagato in momento successivo al rilascio degli ostaggi ma non monitorato. È una ricostruzione possibile, come è anche possibile che il denaro sia riconducibile ad altri affari illeciti». Ma la sua «esistenza e ingente entità  appare non in dubbio» stando alle conversazioni» tra Leone e Maier: «Stanno aspettando pure il mio carico grosso… qua stanno 8 milioni ancora, oh!». Oppure: «Qui stanno svariati milioni che dobbiamo mettere nella cassetta e nelle cassette di sicurezza devono stare protette».
Ferrari spider, ma troppo presto
Anche un altro arrestato, Pierluigi Tranquilli, che la notte del sequestro riceve molti sms da Leone, sembra «verosimilmente contare di avere a breve la disponibilità  di un ingente somma», visto che ordina una Ferrari 458 spider da 230.000 euro e si indispettisce non poco per il mancato ritiro del contenuto delle cassette in banca: «La mia famiglia, la mia azienda e tutti i nostri sacrifici — scrive a Leone — sono nelle tue mani. Non ti dico più niente, frate’». Per il gip potrebbe essere stato lui «a suggerire l’obiettivo o a collaborare a procurare» gli asseriti «documenti» audiovideo.


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