by Sergio Segio | 7 Novembre 2012 5:56
BOSTON (Massachusetts) — Legalizzazione della marijuana per usi terapeutici, matrimoni gay, abolizione della pena di morte in California e, sempre nello Stato della West Coast, i cittadini chiamati a decidere se accettare un aumento delle tasse per mantenere in vita l’attuale sistema scolastico pubblico o se tagliare i servizi d’istruzione. Una scelta destinata a pesare sulla politica tributaria del Congresso e del nuovo presidente: se lo Stato che guidò la rivolta anti-tasse dell’era Reagan adesso ha votato un aumento del prelievo per difendere i servizi pubblici, sarà difficile per governo e Parlamento di Washington non tenerne conto.
Come sempre lo scontro per la conquista della Casa Bianca, attirando tutto l’interesse dei «media», finisce per lasciare in ombra le altre sfide dell’«election day». Decisioni spesso importanti quasi quanto la scelta del presidente. In primo luogo il rinnovo dell’intera Camera e di un terzo del Senato, coi repubblicani che vorrebbero conquistare anche quest’ultimo, mentre i democratici fino a qualche settimana fa speravano di recuperare il controllo della Camera, perso due anni fa, nelle elezioni di midterm. Probabilmente non avverranno né una cosa né l’altra: i democratici non sono in grado di recuperare un gap di ben 25 deputati, mentre per il Senato la speranza dei conservatori di rosicchiare i tre-quattro seggi necessari per togliere la maggioranza ai democratici, è destinata probabilmente a infrangersi contro errori di valutazioni e autogol. Soprattutto quelli di Todd Aikin, il deputato, candidato senatore, che ha dovuto abbandonare il campo dopo la sua infelice sortita sullo «stupro legittimo». E quello di Richard Mourdock, candidato in Indiana che, opponendosi all’aborto anche in caso di stupro, ha giudicato il concepimento per un atto violento come parte del disegno divino. Chiunque vada alla Casa Bianca, insomma, avrà probabilmente a che fare con un Congresso ancora diviso.
Più interessanti, forse, per le tendenze politiche e sociali che possono innescare, i 176 referendum che si sono svolti in 38 Stati. Come sempre c’è di tutto, dall’eutanasia alla legalizzazione della marijuana (in Colorado, Oregon e a Washington) mentre l’Alabama deve ancora decidere se rimuovere dalla sua Costituzione le norme (comunque non più applicate) sulla segregazione razziale nelle scuole.
E come sempre in primo piano c’è la California: lo Stato più grande e popoloso, quello più ricco ma anche con più contrasti. I californiani devono decidere se introdurre l’etichettatura dei prodotti alimentari geneticamente modificati (per i quali oggi non c’è alcun controllo), se aumentare le tasse per finanziare il servizio pubblico scolastico e se abolire la pena di morte. Sarebbe il diciottesimo Stato a farlo (l’ultimo, il Connecticut, ha preso questa decisione in primavera). I sondaggi dicono che per la prima volta c’è una maggioranza abolizionista (45 contro 38), ma i motivi non sono umanitari. Mantenere il «braccio della morte» in un carcere costa caro: convertendo le condanne alla pena capitale in ergastoli si risparmierebbero 130 milioni di dollari. È questo che sta facendo cambiare idea ai californiani.
Altro paradosso: molti degli oppositori della «Proposition 34» sono gli stessi condannati a morte. Non vogliono la conversione in una pena detentiva a vita senza possibilità di sconti e temono di perdere la protezione dell’esercito di avvocati che solitamente si mobilitano solo a difesa dei condannati alla pena capitale.
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