La rivoluzione carismatica finisce tra odio e insulti e Silvio diventa cannibale

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DICE, tace, ridice, smentisce, sparisce (in Africa), si sfoga, si pente, ritorna a parlare con i giornalisti a tarda sera, ma tanto ormai è lo stesso. «Adesso dobbiamo salvare la storia di tutti noi» pare abbia fatto presente il povero Alfano, ma rispetto alla Storia, che pure scorre senza chiedere il permesso ad alcuno, occorre riconoscere che c’è qualcosa di grandioso nel modo in cui neanche quattro anni fa Silvio Berlusconi ha creato il Pdl e adesso lo va distruggendo. Sempre. Tutto. Da solo.
L’ALTRO giorno sul Giornale, sotto l’occhiello «Le mosse del Cavaliere », si é potuto leggere il seguente titolo: «Silvio fa contento Alfano: domani sarà  al vertice del Pdl». Capito? Al fianco al Cavaliere, in effetti, ogni giorno più cereo, è comparso infine lo pseudo- figlioccio «che mi ricambia», una figurina che pure ieri ha osato l’inosabile evocando le barzellette, tema assai sensibile a Palazzo Grazioli, anche se poi non s’è capito se nella sua temeraria perorazione Alfano abbia paventato il rischio di fare la figura dei «barzellettari» o dei «barzellettati », là  dove nel primo caso sarebbe un oltraggio a Sua Maestà  e nel secondo un mezzo affronto, e non solo alla lingua italiana.
Chissà  se all’ex Guardasigilli, fra i tanti miracolati di una remota stagione, è tornato in testa che agli esordi del Berlusconi quater il Foglio assicurò che sarebbe stato «il governo del Buonumore». Ecco, nel malanimo e fra i rancori del cupio dissolvi si consuma la «rivoluzione carismatica», come intese a suo tempo designarla il senatore Quagliariello, che tanto si è dedicato a de Gaulle.
Acclamato nel marzo del 2009 presidentissimo a vita e salutato dalle note congressuali di «Meno male che Silvio c’è», adesso Berlusconi vuole chiudere gli uffici di via dell’Umiltà  e soprattutto si rifiuta di scucire i quattrini per delle primarie che ritiene del tutto inutili, anzi dannose. Già  alcuni mesi orsono gli avevano attribuito frasi tipo: «Il Pdl non c’è più, esiste solo nella testa dei nostri dirigenti». Riguardo a questi ultimi, è sempre il Giornale di casa ad aver indicato, sia pure senza virgolette, lo stato d’animo del fondatore: fatico a sopportarli, quando vengono a casa mia mi viene voglia di andarmene.
Così, stanco di adattarsi alle continue richieste, esausto di quelle facce, oltre che delle ingrate miserie che ogni volta regolarmente gli gettano addosso coordinatori, capigruppo, ex ministri e maggiorenti, Berlusconi ha preso a scavalcarli rivolgendo le proprie residue speranze ad amazzoni, fidati buontemponi, sospetti millantatori, più o meno ignoti e talvolta ignari imprenditori, ad esempio quei «gelatai» rispetto a cui Alfano ha riaffermato il primato della «politica», nientemeno.
In dodici minuti — e allora fu un vanto — venne sciolta Forza Italia per dare vita a quel «Popolo » della libertà  che Berlusconi volle battezzare con un finto referendum. In mancanza di un impossibile se stesso ringiovanito, a 76 anni per la nuova Forza Italia il Cavaliere pensa ora ad arruolare Briatore, di cui deve aver
dimenticato certe cosette niente affatto simpatiche che diceva di lui al telefono; e addirittura s’incanta con l’idea di Montezemolo, che tutte le volte gli ha sempre detto no e che poche settimane prima della caduta del 12 novembre 2011, a un passo dal dileggio, fermò l’automobile come per entrare a Palazzo Grazioli; e quando vide che attorno a sé cresceva l’agitazione dei giornalisti di colpo fece dietro front e risalì in macchina ridacchiando.
Su un tovagliolo di un’enoteca di Montecatini, dove è andato a farsi curare con il laser, l’uomo che ha cambiato l’arte del potere in Italia ha scritto del «suo» nuovo soggetto ancora desolatamente senza nome: «Nuovo e pulito» per andare «oltre il 50 per cento», che forse non ci credeva nemmeno il proprietario ultraberlusconiano del locale, che pure ha promesso di mettere quell’impegnativo reperto di stoffa dietro una teca.
Ma il pensiero più triste rubricato nei progetti del tardo berlusconismo al tramonto gli è sfuggito di bocca come un sospiro: «Se fossero ancora vivi, ci metterei dentro Vianello e la Mondaini ». E c’è ormai un aria mortifera da quelle parti, un rincorrersi di ombre a loro modo tenebrose, un accavallarsi di immagini sempre più perturbanti come quella di lui che estrarrà  dal cilindro un dinosauro, e nessuno giustamente ride più, e tutto precipita in rovina, come ampiamente preannunciato.


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