La ‘ndrangheta assoldava i killer venuti dall’Est

by Sergio Segio | 21 Novembre 2012 10:52

Loading

VIBO VALENTIA — Delitti di ‘ndrangheta eseguiti su commissione, con armi di precisione che arrivano dal Nord, rubate durante le rapine nelle ville. Anche i killer arrivano da lontano: cecchini stranieri ben addestrati, che sparano dietro compenso. Le tariffe variano da mille a diecimila euro. È la nuova linea di condotta della ‘ndrangheta di periferia, quella della provincia vibonese, meno nota e potente ma spietata come quella da prima pagina. Capace di scatenare una guerra per contrasti legati all’ingresso nella struttura unitaria che guida e governa l’organizzazione criminale calabrese: la faida che nell’ultimo anno ha visto contrapposte due famiglie che si combattono tra Stefanaconi e Piscopio, alle porte di Vibo. Da un lato i Patania, legati allo storico clan Mancuso; dall’altro i cosiddetti «piscopisani», che tramite le cosche della fascia ionica sono entrati nell’orbita di quella sorta di Cupola che secondo le più recenti indagini governa la ‘ndrangheta, dallo stretto fino alla Lombardia.
Tra il settembre 2011 e il luglio 2012 sei persone sono state assassinate e altre sono rimaste ferite nel contrasto fra i due gruppi. Con azioni anche spettacolari, come l’omicidio in spiaggia di Davide Fortuna, ucciso sotto gli occhi della moglie appena uscito dall’acqua. Le indagini di polizia e carabinieri sfociate nel fermo di diciassette indagati — su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli — sono giunte alla conclusione che alcuni di quei delitti siano stati eseguiti da due killer venuti dall’Est europeo. Si chiamano Vasvi Beluli, macedone di trent’anni, e Arben Ibrahimi, montenegrino di 27. Entrambi hanno partecipato da giovanissimi alla guerra nella ex Jugoslavia, e per questo sono considerati dei professionisti.
Gli agenti del Servizio centrale della polizia li hanno arrestati ieri a Canino, in provincia di Viterbo; normalmente abitano lì, ma per sparare si spostano dove c’è chi li recluta. E stando all’inchiesta dell’Antimafia di Catanzaro nell’ultimo anno sono scesi diverse volte in Calabria, in macchina o in treno, facendo attenzione ogni volta a spegnere i telefonini per evitare di essere rintracciati. Le loro facce sono poco conosciute nelle contrade della faida, e anche per questo alla famiglia dei Patania sarebbe tornato utile arruolarli come cecchini. Li chiamano, genericamente, «albanesi»; Ibrahimi detto «Alberto» e Beluli soprannominato «Jimmy». La mattina dell’11 febbraio scorso la telecamera di sorveglianza di un bar di Vibo ha ripreso due persone molto somiglianti ai due «albanesi» mentre si aggiravano intorno a una casa dalla quale, quello stesso giorno, sono partiti i colpi di fucile che hanno ferito alla gola Francesco Scrugli, quarantaduenne affiliato dei piscopisani. A sparare — sostiene oggi l’accusa — fu Ibrahimi con una carabina Winchester calibro 30.06 ritrovata qualche giorno dopo vicino alla finestra di una casa disabitata; i colpi contro la vittima designata sarebbero partiti da lì, e l’arma proveniva da un furto in un’abitazione in provincia di Lodi, avvenuto un anno prima.
In quell’occasione Scrugli si salvò. «Gli è andata bene perché c’era il mirino che non era regolato bene», ha raccontato il pentito Daniele Bono, coinvolto nella faida. Dell’agguato si parla anche in alcune intercettazioni, dove si discetta della «30.06» con cui i sicari hanno sparato e dei «tremila euro» da pagare, «ma solo a fatto compiuto». Scampato al primo agguato, Scrugli cadde nel secondo, quaranta giorni dopo: il 21 marzo lui fu ucciso e due amici che si trovavano con lui rimasero feriti. In quell’occasione Giuseppina Iacopetta — vedova di Fortunato «Nato» Patania, ucciso nel settembre precedente — si inginocchiò e ringraziò la Madonna: «Finalmente si è verificato quello che volevo. Grazie Dio che hai esaudito le mie preghiere. Nato mio, giustizia è fatta».
I retroscena di questa preghiera sono stati svelati da Loredana Patania, nipote della Iacopetta e a sua volta vedova di Giuseppe Matina, assassinato il 20 febbraio 2012 sulla porta di casa perché sospettato di fare il doppio gioco. Anche il delitto Matina, nella ricostruzione dell’accusa, fu commesso su commissione dal montenegrino Ibrahimi, con una pistola calibro 9. «Io ho sentito in quel frangente di tre secondi che mio marito, quando ci sono stati i primi due colpi, ha detto: “Per favore, per favore” — ha raccontato Loredana —. Poi ci sono stati gli altri quattro colpi e non l’ho sentito più parlare. Quando sono uscita era già  morto». Oggi Loredana è fidanzata con l’altro pentito Daniele Bono. Prima si temevano a vicenda, ciascuno pensando che l’altro (o l’altra) potesse partecipare alla propria eliminazione. Poi hanno deciso insieme di collaborare con i magistrati.

Post Views: 206

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/11/la-ndrangheta-assoldava-i-killer-venuti-dallest/