La fine di Olimpia
ATENE. La tragedia greca si avvia a consumare il suo atto finale sullo stesso palcoscenico dove è cominciata: lo sport. Otto anni fa Atene era in paradiso. Ubriaca del trionfo della nazionale agli Europei di calcio e orgogliosa delle sue Olimpiadi. Una festa da 12 miliardi (il doppio del previsto, si sa come vanno queste cose) che ha regalato al paese tre linee del metrò, aeroporti ed autostrade ma soprattutto la certezza di essere entrato a pieno titolo nella serie A d’Europa. Oggi il mondo si è capovolto. La Grecia è la pecora nera del Vecchio continente, tenuta in vita artificialmente da una trasfusione forzata di liquidità internazionale. Il Pil è crollato del 20%, una persona su quattro è disoccupata, negli ospedali mancano i medicinali di prima necessità per i malati cronici. E gli entusiasmi del 2004 (complici pure le spese folli per mettere in piedi i giochi olimpici) si sono trasformati in una via crucis collettiva in cui anche lo sport sta celebrando il suo funerale.
Grinta, muscoli e buona volontà servono a poco quando di soldi non ce ne sono più. La nazionale di nuoto ellenica – dopo mesi e mesi di allenamenti nella storica piscina dello Zappeion ai piedi del Partenone – ha dovuto saltare gli europei di vasca corta a Chartres per mancanza di fondi. E siccome, vale anche per le discipline acquatiche, piove sempre sul bagnato, quando i suoi campioni si sono ripresentati ieri (malgrado tutto) allo Zappeion per riprendere la preparazione hanno trovato il cancello chiuso.
«Spiacente, non c’è più il becco di un quattrino e non possiamo pagare il gasolio per scaldare l’acqua», ha spiegato a tutti con le lacrime agli occhi il custode. Farsene una ragione è difficile. Anche perché la splendida piscina di riscaldamento costruita nel 2004 all’Olympic Aquatic Center – metafora beffarda di tutti i guai della Grecia – è oggi un rudere pieno d’alghe e in stato d’abbandono, come molti degli altri impianti inaugurati tra le fanfare otto anni fa.
«State sterminandoci un euro alla volta» ha scritto la Federazione Olimpica ellenica al governo. Centesimi di secondo, centimetri e gol non contano più. L’unica unità di misura nella patria di Olimpia sono oggi i soldi. E, se la matematica non è un’opinione, il grido d’allarme dei vertici del Coni locale è più che giustificato. «L’ultima finanziaria ci ha messo in ginocchio – spiega il vicepresidente della Federazione Thanassis Vassiladis – il nostro budget è stato tagliato dell’80% a 13 milioni di euro per il 2013 e 9 servono per pagare i 355 dipendenti». Morale: ci sono la bellezza di quattro milioni per far allenare e partecipare alle competizioni internazionali tutti gli atleti greci. Mission impossible.
I problemi di Vassiladis sono quelli di tutta la Grecia. Far quadrare i conti è un esercizio in cui si sta esercitando tutto il Paese, in una sorta di spending review nazionale. Chi può scappa. Lo fanno le imprese estere come la Coca-Cola, che qui aveva la sua più grande impresa di imbottigliamento d’Europa. Chiusa un mese fa. Lo hanno fatto le grandi banche straniere come il Credit Agricole, che – dopo aver contabilizzato miliardi di perdite sui bond ellenici – hanno venduto sottocosto le loro controllate locali. Chi resta, come l’Ikea, impugna l’accetta. La scorsa settimana i vertici della società svedese hanno convocato i dipendenti del loro grande magazzino di Rendi. Motivo: un taglio generalizzato degli stipendi dall’11 al 15%. E l’obbligo a rinunciare al contratto nazionale per firmarne uno individuale. «La crisi ha riportato indietro i diritti di 20 anni», dice Ilias Iliapoulos, numero uno del sindacato Adedy. Ma c’è poco da fare. A Rendi, dopo un giorno di sciopero, buona parte dei dipendenti ha chinato la testa. «Che alternative avevamo – ha confidato uno di loro – i nostri unici due concorrenti hanno dichiarato fallimento nei mesi scorsi. O così o niente».
Il veleno della recessione circola ormai in ogni capillare della società . E non risparmia nemmeno classi che si sentivano al riparo dalla tempesta. «Io abito in un bel condominio nella parte nord di Atene, quartiere delle ex-media e alta borghesia – racconta Nikitas Kanakis, dentista e numero uno della Ong Doctors of the World – bene: quest’anno siamo senza riscaldamento perché la metà degli inquilini non ha pagato le bollette e il fornitore non ci porta il kerosene fino a quando non saldiamo gli arretrati».
L’eccezione? No, la regola. Gli stipendi dei dipendenti pubblici e privati sono calati del 30% in quattro anni. L’ultima finanziaria ha sforbiciato le pensioni da un minimo del 5% (quelle tra i mille e i 1.500 euro) fino a un massimo del 15%. Altro che diritti acquisiti: «Qui si combatte per la sopravvivenza e un inverno al freddo significa problemi anche per la salute della gente in una nazione dove non ci sono né i medicinali né i soldi per curarla», conclude Kanakis, che ai colleghi tedeschi della Ong ha chiesto di aiutare la Grecia «come si fa con un paese africano».
Dettaglianti, dipendenti pubblici, medici, non si salva nessuno. Il 31% dei negozi di Atene, compresi quelli di Ermou, una delle 50 arterie più trendy del mondo, non ce l’ha fatta. E ha abbassato la saracinesca. La disoccupazione giovanile – contro tutte le previsioni della Troika – è volata al 58% e vale per tutti. Prendiamo, per rimanere nello sport, Michalis Parmakis, l’erede di Filippide, il miglior maratoneta nazionale e un altro simbolo di come la tragedia economica ellenica si specchi pari pari nel mondo – solo in apparenza dorato – dello sport. Fino a 18 mesi fa gli sponsor facevano a gomitate per ogni centimetro quadro della sua tuta, lui girava il mondo in business class e a sua moglie e ai tre figli non faceva mancare nulla. Nel maggio del 2011 gli è caduto il mondo in testa. Nella casella della posta ha trovato la lettera di licenziamento della ditta (il 58% dei giovani greci è disoccupato) e da allora gli sponsor sono spariti uno ad uno. «Sono i momenti in cui devi cambiare le priorità – dice lui con serenità – si mangia quando si riesce e i bambini devono farlo prima di te». Non proprio una dieta da atleta. Ma la passione è dura a morire. Così dieci giorni fa, il giorno della Maratona di Atene, Parmakis ha pagato di tasca sua il bus, si è sciroppato 500 chilometri di viaggio da Kozani ed è arrivato lo stesso nono, primo ellenico, in 2 ore e 21 minuti.
La Grecia, naturalmente, ha problemi ben più gravi di quelli dei suoi atleti di punta. «Forse l’Europa non si rende conto di che rivoluzione culturale, economica, sociale e morale è stata imposta alla Grecia negli ultimi tre anni», ripete spesso il nostro premier Mario Monti per ammorbidire gli spigoli del club della Tripla A che tende a somministrare gli aiuti ad Atene con il contagocce. I numeri – un deficit/Pil che viaggia verso il 190%, un’economia che anche quest’anno scenderà del 7%, 1,2 milioni di persone senza mutua e assistenza sanitaria – raccontano solo una parte dell’Odissea di questi ultimi otto anni. Un’altra faccia è quella del milione di immigrati regolari (oltre ad almeno 600mila clandestini) presenti nel Paese. Stretti tra l’incudine di una recessione che ne ha lasciato molti senza lavoro (come è capitato agli extracomunitari spagnoli che con le loro braccia hanno costruito il boom immobiliare iberico) e il martello delle squadracce di Alba Dorata che ogni sera pattugliano i quartieri ateniesi attorno a Piazza Omonia armati di coltelli e cacciaviti attaccando gli stranieri. «Esagerazioni della stampa», dice Theodoros Koudounas, membro del comitato centrale del partito. Sarà . Ma l’ambasciata americana, prudente quando si affrontano temi così delicati, ha raccomandato ai turisti di aspetto «latino americano, mediorientale o con la pelle scura» di fare attenzione all’escalation di agguati razzisti.
Con questi chiari di luna, questo è certo, pecunia non olet. Dove ci sono euro si prendono. E lo sport non fa eccezioni. I calciatori della squadra dilettantistica del Voukefalas – turandosi il naso e sfidando l’ira di mogli e fidanzate («la sponsorizzazione non sarà pagata in natura», hanno tenuto a precisare) – si sono fatti sponsorizzare da “Villa erotica”, il bordello (legale) della città . Sempre meglio dei loro colleghi del Palayopirgos, costretti a giocare con una croce sul petto per promuovere i servizi delle pompe funebri locali. Altro caso in cui nessuno, ovviamente, tiene a farsi pagare in natura. Eros e Thanatos. Amore e morte. La tragedia greca torna sempre lì dove è iniziato tutto. Al suo glorioso passato e alla sua cultura, pietre angolari della democrazia europea. La terra di Olimpia è ancora viva e lotta controvento per rialzarsi in piedi. Magari adesso arriveranno i soldi dell’Eurogruppo. Ma davanti c’è lo stesso la Maratona più difficile della storia ellenica.
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