La crisi di Hollande

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PARIGI. Franà§ois Hollande cercherà  oggi di riconquistare i francesi che gli hanno girato le spalle dopo averlo votato sei mesi fa. Sono tanti. Soltanto un cittadino su tre si dice soddisfatto, e senza entusiasmo, per quel che fa o per quel che non fa. L’impresa è dunque ardua. Vasto è il programma. E a cambiare gli umori dei cittadini della Quinta Repubblica, in questo autunno francese sempre più inquieto, non basterà  certo l’odierna conferenza stampa: che era già  stata programmata durante la campagna elettorale di primavera; e che sarà  trasmessa nel tardo pomeriggio in diretta per due ore filate da vari canali televisivi; con quattrocento giornalisti radunati in un salone del Palazzo dell’Eliseo.
Il presidente che parla troppo sottovoce, troppo timido per appagare l’ansiosa curiosità  dei suoi concittadini, troppo poco carismatico per la civiltà  delle immagini, tanto qualunque da far apparire un’esibita virtuosa normalità  come un handicap, insomma il presidente silenzioso in questa occasione dovrebbe far risuonare la grancassa. Ma c’è da dubitare che lo faccia. Non è nel suo stile. Lui cammina in punta di piedi. Bisbiglia. Non fa rumore. E i suoi connazionali, non solo quelli sanguigni, rischiano di restare inchiodati in un profondo scetticismo e sempre più preoccupati. Perché si pongono alcuni interrogativi essenziali. Il presidente fa il necessario per affrontare la crisi? Ne ha valutato l’ampiezza?
I severi giudizi degli economisti tedeschi, che considerano la Francia «il principale problema dell’Europa », sono giustificati? Annunciano un inevitabile disastro? Sono gli interrogativi di un paese che, a torto o a ragione, in preda all’incertezza, alla sfiducia, non si sente governato da una mano abbastanza ferma.
Di solito appena arrivata al potere la sinistra accende passioni, esalta o inquieta, suscita speranza o apprensione. La delusione e il bilancio negativo arrivano alla fine. Con Hollande, secondo presidente socialista eletto al suffragio universale (dopo Franà§ois Mitterrand nell’81) accade il contrario. Lui non ha neppure usufruito di quella che i cronisti amanti dei luoghi comuni chiamano luna di miele. Il paese ha salutato il suo ingresso nel Palazzo dell’Eliseo senza troppi applausi. Lui dice che non si aspettava di più. Sostiene che l’importante è il bilancio finale. Gli restano ancora quattro anni e mezzo: quindi ha tutto il tempo per concludere bene quel che è in apparenza cominciato male. Meglio rovesciare una sciagurata tradizione.
Intanto però, da una più accurata analisi del voto che l’ha portato all’Eliseo, emerge che egli è stato eletto in una Francia in cui la destra è maggioritaria. Basti ricordare che i due milioni di voti bianchi o nulli al secondo turno erano in larga parte di elettori di destra scontenti di Nicolas Sarkozy, e che sono stati sufficienti per determinare il risultato finale. Franà§ois Hollande ha infatti vinto con solo un milione di voti in più. A decidere la gara è stata l’inquietudine identitaria. Il rigetto di Nicolas Sarkozy ha condotto il candidato socialista alla presidenza.
Quel Nicolas Sarkozy rifiutato resta nei paraggi un po’ come un fantasma, non come un leader rimpianto, ma come elemento di paragone. Si dice di Hollande «che fa come Sarkozy», oppure «che fa di tutto per apparire il contrario di Sarkozy», oppure «che è ossessionato dai continui richiami a Sarkozy». Lo stesso Hollande, nei suoi interventi pubblici, o nei colloqui privati, si riferisce spesso al suo predecessore per mettere in chiaro che il suo stile è diverso.
Molti simpatizzanti di destra (il 64 per cento) si augurano che Sarkozy si presenti alle presidenziali del 2017, ma Roland Cayrol, politologo di lungo corso, pensa che questo desiderio riguardi unicamente i suoi vecchi elettori, non la maggioranza dell’opinione. Non è mai accaduto, nella Quinta Repubblica, che un ex presidente riproponesse la propria candidatura. Sarkozy dovrebbe rifarsi una verginità  politica. Un presidente sconfitto non può essere rieletto. E comunque non è mai avvenuto. Evocare il nome di Sarkozy non significa insinuare la possibilità  di un suo ritorno; è rammentare piuttosto che è stato lui il protagonista delle elezioni di primavera. I francesi hanno voluto sconfiggerlo. La vittoria di Hollande è stata la conseguenza del rigetto di un presidente che abusava dei mezzi di comunicazione, che inondava il paese di annunci senza seguito, contraddittori, e scandiva la sua funzione suscitando emozioni collettive, al ritmo dell’attualità .
Franà§ois Hollande è e vuole essere il contrario. Lo vuole essere a tal punto da apparire un personaggio scialbo. Lui che prima di diventare presidente era un uomo spiritoso, conviviale, al punto da esercitare un certo fascino più nella società  femminile che in quella maschile, è diventato impenetrabile. È diventato un presidente classico. Immerso fino al collo nella carica. Anche in questo il contrario di Sarkozy, che amava le trasgressioni. «All’inizio, quando entravo nell’ufficio del presidente, mi aspettavo di trovare qualcuno seduto al mio posto », diceva Hollande. Poi il peso delle responsabilità  ha spento la sua giovialità .
Ma non del tutto. Durante le frequenti visite, nell’ufficio affacciato sul parco in cui si spengono i rumori del traffico dell’agitato quartiere dei Campi Elisi, il presidente accoglie con il sorriso, comunque con serenità , le domande in cui si annidano le critiche alla lentezza del suo governo. L’opposizione ne denuncia l’inazione, la sinistra si spazientisce, l’opinione pubblica si impenna ed esprime giudizi negativi.
Lui reagisce difendendo il primo ministro Jean-Marc Ayrault, al quale si rimproverano la passività  e le numerose gaffes. Ayrault, dice Hollande, è il bersaglio di rimproveri in realtà  rivolti a lui, il presidente. La destra pensa che la sinistra abbia vinto le elezioni per effrazione e che la sua occupazione del potere sia illegale.
Ma lui è presidente per cinque anni. Lo sottolinea con insistenza. E a chi si pronuncia per un’azione rapida, immediata, una specie di New Deal francese, risponde di voler procedere a tappe.
In un paese in cui le spese pubbliche, ereditate da Sarkozy, arrivano al 56 per cento, un livello non raggiunto neppure in Svezia, il margine d’azione del governo socialdemocratico è risultato assai limitato. Hollande ha fatto male a non offrire subito all’opinione pubblica una visione realistica della situazione economica, e a minimizzare con i suoi silenzi l’importanza della crisi subita dalla Francia. Si è comunque ben guardato dal ridurre drasticamente le spese pubbliche, per avvicinarle al livello tedesco (46 per cento), e dall’attenuare la rigidità  del mercato del lavoro. Ha invece scelto di aumentare le tasse, con il rischio di degradare la competitività  delle imprese. Questo ha fatto inorridire gli economisti tedeschi e messo in allarme il governo di Berlino, preoccupato dalla prospettiva di vedere la Francia affiancata ai paesi del Sud Europa, dei quali non ha finora condiviso la situazione, pur non presentando conti esemplari, come i paesi del Nord. A tranquillizzare un po’ i tedeschi è stata la recente decisione di aumentare di circa mezzo punto l’Iva e di accordare un credito di venti miliardi alle imprese, al fine appunto di migliorare la loro competitività . Oggi Franà§ois Hollande dovrà  infine uscire dalla proverbiale riserva. La vivace cordialità  riservata ai visitatori dell’Eliseo dovrà  estenderla ai quattrocento giornalisti presenti alla conferenza stampa, e alla Francia in ascolto. L’impopolarità , lo scetticismo dei francesi, i numerosi punti oscuri della sua politicaeconomica, peseranno su domande e risposte. Alcune promesse fatte durante la campagna elettorale sono state mantenute, altre no. Non ancora. Il presidente dovrà  giustificarsi. Spiegare. Ecco qualche esempio. Il candidato Hollande aveva promesso di non aumentare l’Iva, ma l’ha aumentata. Sia pure di poco. Aveva promesso di rinegoziare il trattato budgetario europeo firmato da Sarkozy, e si è accontentato di un capitolo annesso chiamato “patto per la crescita”. In quanto alla fiducia che il candidato si impegnava di suscitare nel paese, manca all’appello, visti i pessimi sondaggi. Il personaggio Hollande affronta un esame non facile.


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