by Sergio Segio | 13 Novembre 2012 8:30
Niente più frontiere per merci e capitali, asservimento e sussunzione globale di corpi e cervelli all’interno del sistema capitalistico, rapporti sociali improntati alla massima diseguaglianza. Eppure questo voler oltrepassare i limiti ad ogni costo, fa venire in mente un concetto fondamentale della letteratura tragica della Grecia antica. Il concetto in questione è quello di hybris, ovvero arroganza, tracotanza, oltrepassamento illecito e sacrilego da parte dell’uomo dei limiti a lui assegnati. È questa la colpa fondamentale dell’eroe tragico greco – che mette in moto il meccanismo drammatico – questo voler andare al di là dei confini stabiliti causando così l’ira e la vendetta degli dei e, conseguentemente, la sua perdizione. Sarebbe l’intero mondo moderno allora, e soprattutto l’Occidente, che oggi si avvia alla rovina a causa della hybris, della tracotanza che porta ad oltrepassare i limiti? Ma soprattutto quali sono i limiti che la società dovrebbe darsi e saper rispettare? E infine qual è e quale dovrebbe essere il rapporto che si dovrebbe instaurare tra regola e trasgressione?
Su questi e altri argomenti connessi spinge a riflettere l’ultimo libro di Serge Latouche, uscito di recente per Bollati Boringhieri e intitolato appunto Limite (pp. 113, euro 9). Si tratta di un breve testo, ma estremamente denso e davvero esaustivo, nel senso che passa in rassegna il concetto di limite, declinandolo nei più diversi settori: da quello geografico a quello economico, da quello ecologico a quello politico, da quello morale a quello culturale e così via.
Si viene ad instaurare, così, una fitta rete di rapporti tra i diversi ambiti analizzati, quasi fili sottili di una ragnatela che collega tutto il discorso, mostrando cosa è diventato un concetto come quello di trasgressione, oltrepassamento dei limiti dati, in origine liberatorio e sovversivo, una volta sussunto all’interno della relazione capitalista. Così, per fare un esempio, in campo culturale, la mancanza di confini tra culture diverse porta all’omologazione più totale fondata sul sopravvento della cultura più forte, piuttosto che a un confronto ricco e gravido di aperture tra vari sistemi culturali differenti. E si arriva alla governance, come «risultato del passaggio dal buon governo pubblico alla gestione delle imprese giganti, la corporate governance». E il concetto «emigra poi a sua volta in campo politico con la controrivoluzione liberale e si ritrova applicato tanto al livello della Banca Mondiale e del Fmi quanto al livello della Commissione Europea e delle amministrazioni pubbliche». Tutto, così, dalla sanità all’istruzione, alla cultura e persino le prigioni, deve essere gestito come un’impresa. Dunque privatizzazioni, dunque governo dei tecnici. E questo tipo di governance si sta estendendo a livello mondiale e «sta portando il mondo al crollo e al caos». Il discorso, poi, tocca aspetti davvero catastrofici quando si applica a livelo ecologico. Basti semplicemente pensare cosa può significare un’espansione economica senza limiti all’interno di un ambiente, il nostro pianeta, necessariamente limitato.
Naturalmente anche i sostenitori dell’attuale sistema sono consapevoli dei rischi e dei pericoli. La soluzione proposta, però, è quella di proseguire ulteriormente sulla strada intrapresa, continuando ad oltrepassare ogni limite ed affidando alla scienza e alla tecnologia la risoluzione dei problemi che via via si presentano. Una speranza fideistica ed irrazionale, secondo Latouche, ed anche estremamente pericolosa, che, invece, non perde l’occasione per rilanciare la sua «utopia concreta», quella della «decrescita serena, conviviale e sostenibile», declinata nelle sue otto «R» – ovvero Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare – unica reale possibilità per l’umanità di evitare la catastrofe incombente.
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