La cieca obbedienza italiana sul Fiscal Compact e «L’Europa da slegare»

by Sergio Segio | 24 Novembre 2012 7:32

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Si può chiamare apatia la maniera con la quale è votata dal Parlamento italiano il 18 aprile 2012 una legge costituzionale (Legge Costituzionale 20 aprile 2012 n.1) con la quale il paese si lega mani e piedi all’Europa comunitaria. Sono modificati in un colpo solo gli articoli 81, 97, 117, 119 della Costituzione, al termine di una «doppia lettura» e da parte di maggioranze così consistenti da evitare perfino il referendum confermativo, cioè il parere del popolo. Il pareggio di bilancio che l’Europa ha richiesto diventa così un principio assoluto, più forte di qualsiasi ripensamento democratico. Il nuovo articolo 81 lo prescrive. Inoltre gli articoli 97 e 119 della Costituzione, dopo la modifica, si europeizzano. Il 97 involve l’amministrazione: «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità  del debito pubblico», mentre le Regioni sono perentoriamente invitate, all’articolo 119, ad «assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Tutto ciò significa che il consensus di Bruxelles e/o di Francoforte deciderà  per molti anni a venire della politica e dell’economia dell’amatissimo Stivale (…).
Nel frattempo, mentre il governo Monti aumentava le aliquote Iva, il Fondo Monetario Internazionale fa sapere che l’Italia ha esportato valuta per 235 miliardi di euro, corrispondenti al 15% del prodotto interno lordo, tra luglio 2011 e 2012. Quello dell’Fmi è come un invito all’Italia (o alla Spagna che realizza fughe di capitali ancora maggiori) di difendersi meglio nel capitalismo globale. Per i capitalisti italiani è invece la conferma: lo fanno tutti, devono essere gli spiriti animali. Il piano è di «mettere in salvo» i capitali oggi, ottenuti anche vendendo pezzi d’Italia, per ricomprarli domani quando costeranno di meno; oppure, più semplicemente, di cambiare paese per investire i capitali, per evitare di rimanere intrappolati nella svalutazione dell’euro di Roma, considerata, da molti, probabile.
La fuga dei capitali indica la debolezza del governo di Mario Monti rispetto al ceto economico e politico che dovrebbe sostenerlo a tutto spiano Le scorrerie su Cortina e altri luoghi di movida, guidate dalla governativa Agenzia delle entrate, infastidiscono la tribù dei ricchi, senza offrire all’altra tribù, quella delle classi non proprietarie del paese, un vero motivo di cambiare giudizio (…) Mentre Monti è sempre più in balìa della finanza creativa, cresce la divergenza di valutazioni tra governo e maggioranza parlamentare: si comincia a subdorare che Monti non si ritirerà , come un Cincinnato qualsiasi, con le elezioni politiche della primavera 2013

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