by Sergio Segio | 24 Novembre 2012 7:44
BARCELLONA. La campagna elettorale catalana si chiude dove era finita prima con uno scontro frontale fra il Partito popolare e Convergència i Unià³ (CiU), la coalizione democristiana di due partiti catalani che governa la Catalogna senza maggioranza assoluta dal 2010. Con la differenza che per la prima volta dall’avvento della democrazia in Spagna, il Partito popolare potrebbe arrivare secondo, scalzando il Partito socialista, a cui i sondaggi attribuiscono il quarto o addirittura quinto posto.
Le elezioni sono state convocate dal President Artur Mas (CiU) di fronte all’impossibilità di approvare il budget 2013, una nuova manovra lacrime e sangue, senza l’appoggio del Pp e con la speranza di cavalcare il sempre più forte scontento catalano, dopo la manifestazione della Diada (la festa nazionale catalana) del settembre scorso. Dal momento dello scioglimento del Parlamento, Mas ha fatto di tutto per legare il successo della sua formazione politica alla possibilità di un futuro «stato proprio» catalano, facendo leva sul disagio crescente per la crisi e per i tagli sociali, che CiU ha portato volentieri avanti, in Catalogna e a Madrid, con i Popolari, e per il mancato riconoscimento dei diritti catalani, bocciati clamorosamente dal Tribunale Costituzionale nel 2010 con una polemica sentenza sullo Statuto catalano.
La posizione chiaramente autonomista di CiU è una novità per un partito tradizionalmente felpato, mentre il nazionalismo centralista del Pp è un classico della politica catalana, e una delle ragioni per cui il Pp a Barcellona non ha mai superato il 15%.
Ma la battaglia sulla bandiera fa comodo a entrambi i protagonisti, perchè evita di portare i temi sociali in campagna elettorale. Che si è chiusa con la più classica macchina del fango orchestrata dal governo di Madrid: un dossier anonimo accuserebbe Mas e i dirigenti CiU di avere conti all’estero con i frutti delle tangenti legate al «caso Palau della musica», il più importante scandalo di corruzione barcellonese che coinvolge CiU, ma che dopo anni di indagini ancora non è finito davanti al giudice. Una mossa che permette a Mas di giocare la carta della «vittima di Madrid» che tanto appeal esercita sui catalani.
La probabile vittoria di Mas (forse senza la sperata maggioranza assoluta) si associa allo sbando del Partito socialista catalano (Psc), dopo le ripetute sconfitte nazionali e locali. Privo di una strategia credibile, ha cercato di imbastire un discorso federalista senza crederci e per il resto attacca più i partiti alla sua sinistra che CiU. Certamente il redde rationem arriverà dopo l’ennesima batosta. Sia il segretario del Psc Navarro, sia quello del Psoe Pérez Rubalcaba lunedì dovranno tirare le conseguenze.
Nel parlamento catalano (135 seggi) continuerà a essere presente un gran numero di partiti come in nessun altro parlamento spagnolo. Anche un partito formalmente di sinistra, Esquerra republicana (Erc), in crescita, ha puntato tutto sull’indipendenza e già è chiaro che saranno l’interlocutore principale di CiU. Icv, una federazione di sinistra e verdi che a Madrid siede con Izquierda Unida, probabilmente aumenterà il numero di voti. Ma per molti sconta l’ambiguità di esprimersi a favore dell’indizione di un referendum per l’autodeterminazione (contro cui strepita il Pp e quasi tutti i partiti a Madrid), ma senza puntare esplicitamente sull’indipendenza.
La novità più interessante delle elezioni sarà la Cup (Candidatura d’Unitat Popular), a cui, con lo slogan «vogliamo tutto», «liberazione nazionale e liberazione sociale», si attribuiscono 2-3 seggi. Nata dai movimenti e dall’assemblearismo su scala comunale, presenta candidati giovani e agguerriti, senza leader, che combattono contro le politiche neoliberiste e le banche, mentre reclamano l’indipendenza. Gli altri seggi se li spartiranno altri piccoli partiti centralisti, come UPyD e Ciudadans, che sperano di raccogliere il disagio anti-Pp.
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