La banda del Guastato e l’ossessione del malloppo “Sono milioni, devi trovarmi cassette sicure”
MILANO — Parlano sempre di soldi. Parlano di «milioni di euro». Una volta fanno anche una cifra: «Otto milioni di euro». Ormai negli uffici della Mobile lo chiamano «il giallo dei soldi mancanti» e ne sono protagonisti i sei uomini arrestati per il sequestro-lampo del ragionier Spinelli e di sua moglie Anna. Il protagonista dei sei è Francesco Leone, il capo, con curriculum da rapinatore «creativo». Stando all’accusa, è Leone che con i fratelli Ilirjan e Larenc Tanko, di 33 e 39 anni, e con Marjus Anuta, 28 anni, si occupa materialmente del piano d’attacco all’ottavo piano del condominio di Bresso.
BAMBINI IN OSTAGGIO
Esiste una conversazione sulla quale gli agenti che l’hanno intercettata hanno ragionato a lungo. Leone dà disposizioni al suo compare più fidato, il brianzolo Alessio Maier, 46 anni: «Lo devi guardare negli occhi serio: “Qui stanno svariati milioni di euro che dobbiamo mettere nella cassetta e nelle cassette di sicurezza devono stare protette”». Il capo continua a spiegare: «Gli dici: “Senti, qua mi devi aggiustare in qualche banca dove ci sono cassette di sicurezza, che hanno tutti la stessa esigenza, cioè il nero. Che mi puoi consigliare?”. E gli dici pure: “A operazione avvenuta, esce il caffè anche per te”, così si calma».
Ma di che cosa parlano Leone e Maier? E chi sono? Maier non sembra un uomo d’azione, ha patteggiato una condanna minima per truffa, era nella voluminosa indagine in cui compariva anche l’ex libero del Milan Franco Baresi. È solo Leone che ha un «papello» di precedenti penali. È specializzato in rapine, e alla sua maniera. Una volta ha fotografato un direttore di banca con una polaroid, davanti alla bandiera con la stella delle Brigate Rosse, ma era il 1992. Un’altra volta s’è travestito da poliziotto.
Se nella mala barese era soprannominato u uastà at, il Guastato, se anche un suo ex avvocato lo definisce «una persona singolare», per i pubblici ministeri milanesi Boccassini e Storari è «di sicuro interesse » una sentenza della Corte d’Appello di Roma.
È «attinente una serie di sequestri di persona operati da Leone con altri sodali negli anni ‘97/’99»: si descrivono «fatti gravissimi commessi in danno per la maggior parte di impiegati o direttori che venivano privati della libertà personale sino a quando consegnavano forti somme di denaro prelevate dai caveau (…) In molti casi venivano tenuti in ostaggio i familiari, anche bambini in tenera età , per un’intera notte». Come a casa Spinelli.
“X FAVORE LA VERITà€”
Leone, che aveva collaborato con i magistrati, aveva ormai solo l’obbligo di firmare il registro dei sorvegliati speciali. La ditta dove lavorava era fallita. Ed è lui che, tra Bresso e Varese, parla in continuazione di trasferimenti di denaro in Svizzera, ancora di direttori di banca, di cassette. Ed era sempre lui, con sicurezza, a mostrare all’ostaggio Spinelli la chiavetta usb e il dvd, quei «supporti informatici » non ancora trovati dalla polizia; quelli che, stando a quanto riferisce uno spaventato Spinelli, contenevano «sette ore e 41 minuti di registrazione» di una cena irreale tra Gianfranco Fini e i magistrati del Lodo Mondadori. È sempre Leone che obbliga Spinelli a chiamare Berlusconi e l’avvocato Ghedini con «il viva voce» per avviare una trattativa. Ed è sempre a lui, al boss Leone, che uno dei più giovani arrestati, il laziale Pierluigi Tranquilli, manda un messaggio telefonico disperato: «X favore dimmi la verità », perché non si raccapezza più tra attese, banche chiuse e aperte e soldi da trasferire che nessun bancario ha mai visto. Pure Tranquilli, che è stato chiamato a dare una mano per trasferire soldi, non li ha visti. È sempre l’affabulatore Leone, questo ex galeotto, con le dita curate che però lasciano impronte digitali a casa Spinelli, a contattare gli albanesi. Gangster navigati? Si portano a Bresso a casa Spinelli il «loro» cellulare. Passano davanti a un autovelox con la «loro» Alfa 166 sia poco prima che poco dopo il sequestro (il 15 ottobre alle 21.44, il 16 ottobre alle 9.54). Due li beccano per caso i carabinieri, con passamontagna e arnesi da scasso.
“CI VEDIAMO ALLO STADIO”
Una volta i poliziotti pensavano di essere a un passo dal possibile retroscena. Dalla soluzione dell’intrigo. Succede poco prima della partita Milan-Fiorentina, quando Alessio Maier parla a telefono: «Il mio socio (Leone) è patito del Milan, mi ha fatto comprare i biglietti con la poltrona. Dusent euro de biglietti, tu pensa un po’!», si lamenta, aggiungendo: «C’è un pezzo grosso che mi deve far conoscere, ma uno veramente pesante, che gira intorno a Berlusconi (…) “ci vediamo allo stadio” ».
Appostamento nella tribuna arancio. Pedinamento totale di Leone. Chi incontrerà questo bandito con le scarpe da ultras, rosse con lacci neri? Una talpa? Uno del giro barese di Giampi Tarantini? Non incontrerà nessuno. Ma s’è fatto pagare il biglietto dal suo amico, con cui parla di milioni. Così tanti che, dice, «c’è solo l’inghippo ‘ndo cazzo metterli…».
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