In due mesi 22 allarmi Sta piovendo troppo sul territorio abbandonato

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Per non parlare della quasi costante allerta 2 in cui ha vissuto nelle ultime settimane la Liguria. In alcuni casi al bollettino rosso è seguito un nubifragio, una frana, in altri non è successo nulla o quasi: eccesso di maltempo o di allarme? Piove di più rispetto a dieci, venti anni fa o è la nostra percezione che è cambiata nell’affrontare l’eventuale emergenza? E ancora: dopo la sentenza sulla mancata previsione del terremoto dell’Aquila si preferisce dare un’allerta in più che una in meno?
I dati raccolti dalla rete delle stazioni di lineameteo.it dicono che anche ieri in 16 località  sono caduti più di 80 mm di pioggia in 12 ore, con punte di 136 nel Trevigiano: ne bastano 30 in un’ora per provocare un nubifragio in città . Il colonnello Luigi De Leonibus, responsabile del servizio meteo dell’areonautica militare, spiega: «È presto per parlare di una marcata tendenza alla tropicalizzazione, serve almeno mezzo secolo di osservazioni per dirlo. Sicuramente si registra un aumento delle precipitazioni temporalesche». Il metereologo e climatologo Mario Giuliacci ci dice anche di quanto: «Rispetto al passato piove di più (perturbazioni più frequenti) e in modo più violento (rovesci più forti): a novembre in media dovrebbero cadere 80 mm di pioggia, in quarant’anni solo per undici volte è stata superata la soglia dei 100: per ben sette negli anni 2000». La colpa? «Del Mediterraneo sempre più caldo: quando le perturbazioni atlantiche lo sorvolano assorbono calore e umidità , spinte dallo scirocco verso Nord lungo il Tirreno e l’Adriatico trovano poi le Alpi e salendo di quota si scaricano in violenti temporali».
Spiega Massimiliano Fazzini, docente di Rischio Climatico all’università  di Ferrara: «Ormai l’eccezionalità  sta diventando la normalità , ma questa non può essere vissuta come tale dal nostro territorio fragile. Nè troppa pioggia quindi nè troppi allarmi (forse qualcuno a livello regionale)». Perché, aggiunge De Leonibus, «il numero di avvisi dipende dall’impatto che fenomeni gravi possono avere sul territorio». L’allerta per un’area molto urbanizzata sarà  così sempre più forte. «Se è vero così che i sessanta avvisi in un anno sono circa sempre gli stessi la modalità  con cui vengono fatti e percepiti è cambiata: il fattore antropico è fondamentale. Non solo: la sensibilità  del territorio e della comunità  alle informazioni meteo, sempre più accurate, è aumentata».
Paola Pagliara, responsabile del centro previsionale rischio idrogeologico della Protezione civile, paragona il nostro territorio a un malato cronico e pone al centro del cambiamento la variabile emotiva: «È vero, le precipitazioni sono più violente e anche il livello d’allerta è più alto. Ma questo perché è aumentata la percezione del rischio sull’onda dell’emotività  delle recenti alluvioni». La memoria però è corta: «E fino a oggi l’emotività  non è bastata a sensibilizzare chi gestisce il territorio anche se, dopo ogni tragedia, a qualcosa è servita». Prendiamo l’alluvione di Sarno, maggio 1998, 160 vittime: «Dopo quell’evento s’è voluto monitorare tutti i pezzi d’Italia a rischio idrogeologico. A dieci anni la mappa è completa e ci dice che l’80% dei comuni è a rischio». E l’alluvione di Messina, ottobre 2009, 35 morti: «Anche dopo quella tragedia è stato messo a punto un piano per la messa in sicurezza delle aree a rischio e stanziato un miliardo. Una goccia rispetto ai 40 miliardi necessari». Soprattutto perché quelle risorse in alcuni casi non sono arrivate. «Ma pur sempre qualcosa: con una media di tre-quattro eventi eccezionali ogni anno, la situazione del nostro territorio è sempre più vulnerabile. E ogni allerta non tiene conto solo delle previsioni ma anche delle ferite strutturali ancora aperte. Questo fa scattare un livello di allarme superiore». Insomma: «Il sistema di allerta tenta di supplire al rischio presente sul territorio. Anche se si procedesse al ritmo di un miliardo l’anno, ce ne vorrebbero 40 per mettere in sicurezza tutto». Un sistema più sensibile dopo la sentenza dell’Aquila? «Non si può escludere che questo determini una maggiore prudenza tra chi lavora nel settore dell’incertezza, è ragionevole».
Del resto anche la percezione del rischio di inondazioni e frane è aumentato. Spiega Fausto Guzzetti, direttore dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr: «Una ricerca commissionata alla Doxa sulla percezione dei rischi naturali ci dice che un cittadino su tre si sente abbastanza-molto esposto al rischio di alluvioni (soprattutto in Liguria, Campania, Piemonte e Toscana) e uno su cinque a quello di frane (in testa Valle d’Aosta, Calabria, Liguria e Campania)». E quindi: «Piove in modo più intenso ma siamo anche più sensibili, perché al di là  del fenomeno naturale in sé (monitorato in modo sempre più accurato) il territorio è il nostro tallone d’Achille: sistemarlo ora però ha un costo insostenibile».


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