Il Viminale sulle nozze gay: «Il partner è un familiare»

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ROMA. Il Viminale riconosce i matrimoni gay celebrati all’estero. Una nota del Dipartimento di pubblica sicurezza dedicata proprio all’«unione tra persone dello stesso sesso» spiega infatti come sia possibile rilasciare un permesso di soggiorno come «familiare» al partner straniero di un cittadino italiano sposato in un Paese in cui i matrimoni tra persone omosessuali sono riconosciuti dalla legge. Non si tratta di un vero e proprio riconoscimento dell’unione tra persone dello stesso stesso («la legislazione italiana non prevede alcuna legge che riconosca le unioni civili e tuteli i diritti delle coppie omosessuali», specifica la nota), ma della presa d’atto che in altri paesi, europei e non solo, le unioni gay sono ormai una pratica riconosciuta legalmente e quindi impossibile da ignorare. Al partner straniero non viene quindi riconosciuto lo status di «coniuge», bensì quello di «familiare», valido comunque per ottenere il permesso di soggiorno. Per certi versi si tratta di un riconoscimento forse ancora più forte, visto che implicitamente (e coraggiosamente) ammette che l’unione tra due persone dello stesso sesso rappresenta una famiglia.
La nota del Viminale è del 28 ottobre scorso ed è diretta alle questure di Firenze e Pordenone che evidentemente, di fronte a casi di coppie dello stesso sesso sposate all’estero che richiedevano il titolo di soggiorno per uno dei due partner, hanno chiesto al Viminale istruzioni su come comportarsi. E dal ministero, pur ricordando come per le legge italiana le unioni omosessuali non esistono, si prende però atto di come la magistratura ormai da tempo è chiamata a intervenire sempre più spesso su casi specifici, al punto da riempire il vuoto normativo. «In proposito – si fa notare – vale segnalare la sentenza del tribunale di Reggio Emilia, del mese di febbraio scorso, che ha riconosciuto il diritto ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi di famiglia ad un cittadino straniero che aveva contratto, in un altro Stato dell’Unione, un matrimonio valido con un cittadino italiano dello stesso sesso».
Come già  avviene con l’omofobia, punita all’estero mentre in Italia non si riesce ad avere un legge che la condanni, anche per i matrimoni omosessuali al nostro paese spetta la maglia nera dell’Unione europea. Per due persone dello stesso sesso che si amano sposarsi è infatti un problema praticamente solo in Italia. I matrimoni omosessuali sono infatti legali in Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia (qui è consentito perfino il matrimonio religioso), seppure con leggere diversità  tra le varie legislazioni nazionali. In Inghilterra e Irlanda del Nord vigono i Civil Partnership mentre gli altri Paesi hanno trovato una loro strada per legalizzare le unioni civili: in Francia ci sono i Pacs, in Germania i Lebenpartnershaft mentre Austria e Slovenia e Ungheria hanno leggi simili ai Pacs francesi. Fuori dall’Ue matrimoni legali in Islanda e riconoscimento delle Unioni civili in Croazia.
In Italia non resta che aggrapparsi alla lungimiranza della nota inviata dal Viminale che almeno metterà  fine (si spera) alle difficoltà  di quanti, italiani ma con un partner straniero, fino a oggi tribolano ancora per poter ottenere un permesso di soggiorno. Per fortuna se il parlamento dorme, altre istituzioni sono più ricettive. Come ricorda la stessa nota del Viminale quando sottolinea precedenti come una sentenza della Cassazione, la n.1328/2011, «secondo al quale la nozione di “coniuge”, prevista dall’art. 2 D.Leg. N. 30/2007 deve essere determinata alla luce dell’ordinamento straniero in cui il vincolo matrimoniale è stato contratto, per cui lo straniero che abbia contratto in Spagna un matrimonio con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso deve essere qualificato quale “familiare”, ai fini dell’ottenimento del permesso di soggiorno in Italia». Ma anche la Corte Costituzionale (sentenza n.138 del 2010) sottolinea come all’unione omosessuale «intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso» spetta «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia».
La presa di posizione del Viminale ha raccolto il consenso dell’associazione «Certi diritti», che nei giorni scorsi ha diffuso la nota ministeriale. «Si tratta di un riconoscimento dell’efficacia della via giudiziaria intrapresa dall’associazione nel 2008 di fronte a un parlamento completamente paralizzato di veti vaticani e inadempiente rispetto alle richieste europee», ha detto il segretario Yuri Guaiana. «Che i diritti lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ndr) – ha proseguito – siano diritti umani come ha affermato il segretario di Stato Usa, lo hanno capito i giudici italiani e anche il Viminale; quando lo capirà  anche il parlamento legiferando per garantirne il rispetto?».


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