Il Venezuela delle piccole cose

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Un ritratto documentato e vivace di un paese riemerso a fatica dalla spaccatura di classe che lo aveva a lungo ferito Per riservatezza forse sbagliata non ho mai parlato con Geraldina Colotti della sua vita difficile, del prezzo che ha pagato per una scelta che io considero sbagliata e credo adesso anche lei, ma che – almeno per quel che vedo in lei più che per quanto ne so – l’ha lasciata senza rancori e senza frettolosi pentimenti, una donna – sembrerebbe impossibile – piena di entusiasmo e gioia di vivere. Carica di contagiosa simpatia per il prossimo e di curiosità  per quello che continua ad accadere nel mondo. E dunque anche, o forse soprattutto, per il Venezuela che negli ultimi decenni è forse la cosa che alla sinistra è riuscita meglio. Nonostante il principale artefice di questa esperienza, Hugo Chavez, sia forse la persona più calunniata del mondo. In un modo che non ha precedenti e talvolta ricorrendo a falsità  così grossolane da lasciare stupefatti.
Con straordinaria freschezza Geraldina di questo paese ci dà  – in Talpe a Caracas (Jaca Book 2012) – un quadro per niente affatto «ideologico», ma nutrito di fatti e cifre, documentato. Forse perché il primo viaggio che è alla base del suo resoconto è stato fatto con un gruppo di donne, che ha incontrato altre donne, che dunque hanno molto parlato di quelle cose che vengono chiamate «cose di donne», e che però noi sappiamo essere determinanti per valutare se davvero una società  si avvia al cambiamento oppure no. Anche piccole cose. E però illuminanti. Non solo, o non tanto, le conquiste sociali: la sanità , la casa, la scuola, e così via, ma la soggettività  che in questi anni è maturata in loro, l’autorità , la coscienza di avere diritti e di volerli esercitare, la consapevolezza che la vita dipende dalle tue scelte e non da quelle degli altri.
Giustamente Geraldina si sofferma molto sulle radio di quartiere, in larga parte gestite proprio dalle donne, uno strumento dirompente per scardinare un sistema dei media fino a ieri esclusivamente in mano ai privati, e quali privati! Quelle tv che nelle 48 ore in cui nel 2002 si consumava il golpe – per fortuna subito bloccato dalla rabbia del popolo delle favelas – continuarono a trasmettere telenovelas, per non far sapere al paese cosa stava accadendo.
Il golpe del 2002. Io non so se ancor oggi in occidente ci si sia resi conto dell’enormità  di quella violenza antidemocratica che, da sola, basterebbe a ridicolizzare tutte le accuse rivolte a Chavez da chi per quel tentativo fortunatamente fallito simpatizzò. C’è un film che, sulla base dei filmati girati in quei giorni, ha prodotto la Bbc: racconta, per l’appunto, del golpe e le immagini sembrano quelle degli affreschi di Diego Rivera a Città  del Messico, da un lato i ricchi, vestiti da ricchi, le signore ingioiellate il cardinale il banchiere il generale l’ambasciatore americano, dall’altro i poveri, la grande sterminata massa di popolo che si riversa nelle strade per reclamare la liberazione del suo presidente e il suo ritorno al comando del paese. Ecco, Geraldina, con le sue cronache, le «cose viste in Venezuela» (come recita il sottotitolo) riesce a far capire, come quel film, cosa sia questo lembo dell’America del sud, un paese ferito da una spaccatura di classe quale nessun altro e che solo ora sta tentando di venirne fuori.
Con qualche rozzezza? Sì, certo. Chavez non ha studiato a Harvard, è un indio dell’Amazonia, diventato militare perché quella è la sola strada per i poveri di andare a scuola. Qualche volta usa aggettivi eccessivi, e eccede con la propaganda. Si è occupato troppo di poveri e ancora troppo poco di costruire un sistema economico davvero indipendente dalla rendita petrolifera? Sì, certo. Ma come non occuparsi, subito e interamente, dei poveri in un paese come il Venezuela? Come non impegnarsi, prioritariamente, a costruire cittadinanza, coscienza, soggettività , autogestione, che sono poi la polpa della democrazia assai più di un parlamento? Che peraltro in Venezuela, comunque, c’è ed è libero e sovrano.
Io credo che le calunnie, o la disinformazione che esiste in Europa sul Venezuela anche nelle file di una parte della sinistra siano responsabilità  del legame che si stabilì alla fine degli anni ’60 fra il Mas,una corposa frazione del Pc che decise di lasciar perdere una lotta armata ormai stanca e sterile, e di dar vita a un’organizzazione non più clandestina della sinistra, apertamente critica rispetto alla leadership sovietica. Anche noi del Manifesto avemmo rapporti con il Mas e direi giustamente. Ma quel gruppo era composto prevalentemente da intellettuali o da ceti urbani, non riuscì mai ad avere un ruolo, se non – e molto catastrofico – alla fine, quando accettò di partecipare a un governo impresentabile. Non hanno mai digerito che un indio arrivasse dalle foreste, suscitasse una così vasta mobilitazione, riuscisse a rovesciare il corso della storia e, per la prima volta in America latina, senza violare le regole democratiche. Il loro rancore ha veicolato in occidente la maldicenza.
Hugo Chavez – un uomo anche molto simpatico e, contrariamente all’immagine che ne viene fornita, anche molto ironico (una volta l’ho sentito raccontare di una sua missione in Amazonia con Fidel Castro e fu un racconto divertentissimo) – sta, come sappiamo, male, molto male. Se dovesse mancare si rivelerebbe forse la vera sua debolezza: la fragilità  del partito che ha creato, il Partito socialista unificato, la insufficiente attenzione prestata alla formazione di una leadership collettiva. Che dio gli dia ancora vita, e così il tempo per fare ciò che non ha ancora potuto fare. È importante per tutto il subcontinente americano, il solo dove, per vie assai diverse fra loro, si sta però procedendo anziché arretrando.
Mi riconosco molto nelle parole con cui Geraldina conclude il suo libro: «Parliamo di altri mondi possibili,ma rinunciamo a vedere che le cose implacabilmente cambiano, che la gente si fa spazio come può. Che le storie di ciascuno si raccontano, e la storia di tutti si fa mescolando ogni volta le carte. Non è detto che in Venezuela ce la facciano. In qualcosa dipende anche da noi».


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