Il duello americano del centrosinistra “Questa volta possiamo cambiare davvero”

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MILANO. CHE bello spettacolo, la politica che parla delle cose, i candidati che non si insultano, nessuno che grida, qualcuno che si alza dal pubblico e fa domande vere, dirette.
DOMANDE tipo: Vendola, se lei non fosse candidato chi voterebbe? Vendola che risponde: non ce la faccio, scusate, e ride. Ridono tutti. La sostenitrice di Vendola che chiede a Renzi del nucleare e si emoziona, Renzi che le risponde chiamandola per nome – “Vedi, Serena…” – e lo stile dell’uomo è già  tutto qui. Aveva torto chi aveva paura di questo confronto e ha fatto di tutto perché andasse in onda su un canale dove lo vedono in pochi, sia detto per il futuro: sbaglia sempre chi ha paura.
Dalle otto e mezza di ieri sera per due ore si è visto su Sky un confronto serrato e civile, costruttivo e istruttivo fra candidati di un centrosinistra che finalmente torna ad esistere anche fra leader così come esiste fra gli elettori: persone diverse ma affini, preparate, serie, appassionate, con punti di vista diversi ma con un orizzonte comune, in grado di discutere dei destini del Paese e non solo di se stesse. L’idea geniale e feroce di chi ha organizzato il confronto fra i cinque candidati alle primarie del centrosinistra negli studi di X Factor poteva essere l’anticamera della definitiva resa della politica alla grammatica della tv, è stata invece una riscossa. Bersani, Renzi, Puppato, Vendola, Tabacci sono entrati proprio come fanno Simona Ventura e Morgan, Elio e Arisa, persino con la possibilità  di confonderli. I giudici-professori universitari che giudicano la veridicità  delle loro parole, l’intervento del pubblico. Tutto secondo format. Invece le parole della politica hanno vinto, seppure costrette nel minuto e mezzo a testa di cui ciascuno aveva disponibilità  e dunque poco, certo, molto poco ma abbastanza invece per capire di cosa stiamo parlando, di chi. Nel confronto all’americana, tutti in piedi davanti al leggio trasparente, naturalmente il favorito era Renzi: uomo televisivo per eccellenza, bravissimo nel tempo breve, capace di usare il corpo e lo sguardo diretto in camera “all’americana”. E difatti di Renzi sono state forse le battute più efficaci, una per tutte: «dobbiamo dire ai giovani: troverai lavoro se conosci qualcosa, non se conosci qualcuno ». Il sindaco aveva una cravatta viola come la sua Fiorentina, una pettinatura da bambino per bene, una bella giacca. Bersani ha fatto la parte del fratello maggiore, ha chiamato tutti i suoi avversari per nome come fossero vecchi amici e chi segue la politica sa che non tutti sono amici davvero, ha scelto di mostrarsi affidabile e rassicurante, ha parlato con calma usando il suo linguaggio – «è farina del diavolo», tipo – e sorridendo parecchio ogni volta che era il turno di Renzi. Vendola è arrivato da Vendola, presentato nella bio come “compagno di Eddy”: chi dubitava della sua convinzione ha dovuto ricredersi. Era appassionato e sincero, citava Spinelli, è riuscito persino ad essere sintetico. Laura Puppato, nuova per la grandissima parte del pubblico e fin qui completamente oscurata come un’improbabile outsider, ha mostrato di essere – lei pure – quel che è: una donna autentica, francescana come lei stessa si è definita, portatrice di valori e di proposte importanti e profondamente radicate nella sua esperienza di amministratrice. Ha parlato di tutela del suolo, di sprechi, di economia, di donne e di gay, di lavoro facendo riferimento sempre alla sua storia di sindaco, con un linguaggio desueto come quello del veneto contadino, quello di chi dice veicoli anziché macchine quando parla di auto. Tina Anselmi e Nilde Iotti, ha detto, i suoi riferimenti politici. «La mia storia parla per me – dice alla fine – ed è una storia di coraggio e concretezza». Tabacci ha scelto come “padrini” De Gasperi e Marcora, uomo della vecchia Dc capace ancora di parlare in modo convincente di «crisi morale ed etica». Sanguigno, competente, “montiano prima di Monti”, orfano.
Bersani, alla fine, ha detto che nel suo Pantheon c’è Papa Giovanni, perché «cambiava le cose rassicurando». Vendola ha scelto Carlo Maria Martini. Renzi ha chiuso quasi con un rap, «ho 37 anni sono un ragazzo fortunato». A Marchionne ha quasi scritto una lettera: «Mi hai deluso». Ha parlato ai bambini: «La politica è una cosa bella per la quale vale la pena di impiegare del tempo». Vendola: «Vedo il mio paese sprofondare nel fango, anche in quello del cinismo. Penso ai disabili, ai carcerati, al femminicidio delle donne uccise dai maschi proprietari», ha parlato di solitudine. «Vorrei un’Italia più gentile», quasi una poesia per me che sono un’«acchiappa nuvole». Bersani: «Ho creduto e credo in queste primarie che fanno bene a noi e al Paese. Riavviciniamo i cittadini alla politica. Con la rabbia sola e con l’indignazione non si risolvono i problemi. Ci vuole un cambiamento». Aveva una cravatta rossa come la sua storia. «Non vi chiedo di piacervi, vi chiedo di credermi»,
ha detto.
È difficile che le due cose vadano separate in questa Italia, in questa politica, in questa tv. Ma il dibattito di ieri sera – due ore in cui si è parlato di tasse, di casta, di lavoro, di privilegi, di diritti – è stato forse il primo atto di un modo nuovo di parlare agli elettori. Di un linguaggio nuovo, di un nuovo stile. Per sconfiggere la disillusione di chi non va a votare o ci va solo per protesta è questo che serve. Il confronto gentile, direbbe Vendola. La serietà , la competenza, il coraggio. Una bella squadra di persone diverse. Quel che non aiuta è la paura.


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