Il dilemma delle bibite con più frutta “Attenzione, potrebbero non piacere”

by Sergio Segio | 11 Novembre 2012 8:49

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LA LEGGE che porta al 20 per cento la quantità  minima di succo o aromi è passata un po’ in sordina in mezzo alle altre norme sulla sanità , ma sta provocando un duro scontro, giocato intorno ai circa 900 milioni di litri all’anno interessati dal provvedimento: da una parte le aziende, che si augurano un intervento dell’Europa e minacciano di licenziare o produrre all’estero; dall’altra il ministero, che non vuole cedere, e gli agricoltori di Coldiretti, contenti di vendere, secondo le loro stime, 200 milioni di chili di arance in più.
Nei commi 16 e 16 bis dell’articolo 8 del decreto Balduzzi si impone che, tra otto mesi, due categorie di bibite commercializzate contengano almeno il 20 per cento di frutta. La prima riguarda le bibite «vendute con il nome di uno o più frutti a succo». Aranciate come Fanta, San Pellegrino, Oransoda, o limonate come Lemonsoda, oltre a varie spume, dovranno essere modificate, probabilmente anche nel sapore, visto che oggi la dose minima di frutta è del 12 per cento. La seconda categoria ha meno mercato, ma sarà  ancora più colpita. Si tratta delle bevande con nome di fantasia «il cui gusto ed aroma fondamentale deriva dal loro contenuto di essenze di agrumi» (quindi niente succo e nessun riferimento alla frutta in etichetta). Tra queste ultime, Sprite e 7Up (che hanno aromi di limone), toniche (Schweppes e Kinley) al limone, aperitivi analcolici, bevande energetiche e acque aromatizzate.
In questi casi molto spesso la frutta è presente in quantità  assai inferiori al 12 per cento, perché finora non c’erano dosi minime. Portare la dose al 20, dicono i produttori, snaturerebbe il sapore del prodotto. Qualcuno potrebbe non produrle più. Le due norme del decreto dovranno passare dall’Europa, competente in materia alim entare. Dall’associazione di produttori Assobibe si augurano che la Ue blocchi tutto. «E comunque – spiega il direttore David Dabiankov – visto il diritto alla libera circolazione delle merci, nessuno può impedire a un’azienda di produrre all’estero e importare in Italia bibite con meno frutta. Ma potranno farlo le realtà  più grandi. Moltissimi piccoli imprenditori sono a rischio chiusura. Forse era meglio la tassa sulle bevande dolci ipotizzata tempo fa…». Dal ministero fanno notare a loro volta che i prodotti con meno frutta eventualmente importati non avranno mercato: alla fine i cittadini sceglieranno quelli in linea con le indicazioni dell’autorità  sanitaria, perché più sani.
«Stiamo studiando nuove ricette per la Fanta e sarà  difficile arrivare a un prodotto soddisfacente » dice Alessandro Magnoni di Coca Cola Ellenic, che in Italia ha 3.200 dipendenti. «Il consumatore è abituato a un certo gusto. Nel caso della Sprite è però impossibile portare il limone al 20 per cento, diventerebbe imbevibile. Produrre all’estero e poi importare? Per ora non ci vogliamo neanche pensare». La San Pellegrino appartiene a Nestlé. «Per l’aranciata, che abbiamo già  portato al 15,8 per cento lavorando due anni sulla ricetta, arrivare al 20 è difficile, per limone e pompelmo impossibile» spiega Antonio Punziano. «Ma è così importante questa misura per la salute degli italiani? A noi sembra di no». Tomarchio è una piccola azienda che produce spume quasi esclusivamente per la Sicilia. «Aumentare la frutta vuol dire aumentare lo zucchero e i conservanti», commenta il direttore Lorenzo Libé.

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