I crimini di un Tribunale

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Per comprendere meglio c’è la sentenza emessa ieri dal Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia dell’Aja che ha assolto due generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, condannati in primo grado rispettivamente a 24 e 18 anni di galera per i crimini di guerra commessi nell’agosto del 1995 con l’Operazione Tempesta. Quando l’esercito croato, sostenuto dalla Nato che nella notte bombardò segretamente i ripetitori di Knin, vennero espulse dalla regione della Krajina croata dove vivevano 300mila serbi e vennero assassinate tra le duemila e le tremila persone, in maggioranza anziani e donne. Fu la più grande operazione di pulizia etnica dell’intera guerra nei Balcani. Lì, nel sud-est europeo dove i nazionalismi e i riconoscimenti occidentali delle indipendenze nazionali proclamate su base etnica, hanno fatto brandelli della Federazione jugoslava. 
Festa grande ieri dell’estremismo di destra nazionalista croato, dei filo-ustascia, sventolio della bandiera a scacchi, messe di suffragio e ringraziamento nelle chiese cattoliche. La radio croata ha accolto il rientro dell’«eroe» comunicando fiera: «Gotovina è ora un uomo libero». Tripudio della «guerra patriottica» a base e fondamento della nuova nazione croata che pure, con la promessa di giustizia per i crimini di guerra commessi e la richiesta della consegna di Gotovina (alla fine arrestato alle Canarie nel 2005), per dieci anni non entrò nell’Ue. Solo dopo l’ingresso di Gotovina nel carcere dell’Aja, si è infatti avviata la pratica con la quale ha ottenuto di diventare membro dell’Unione europea, ufficialmente nel 2013. E adesso, che trionfa la menzogna, non emerge forse ancora di più la connivenza europea nel disastro della guerra balcanica?
Perché siamo nei Balcani, naturalmente. Ed è facile immaginare la reazione indignata delle vittime e della Serbia. Ma immaginiamo anche lo scioc per la stessa Carla Del Ponte, il procuratore del Tribunale dell’Aja che nel 2001 chiese l’arresto di Gotovina in qualità  di comandante dell’intera Operazione Tempesta (il generale Markac nella stessa operazione era a capo di un reparto speciale di polizia) ma dichiarò anche che avrebbe voluto incriminare lo stesso Franjo Tudjman, il presidente nazionalista e signore della guerra. Peccato che era già  morto. Che smacco per lei: Milosevic è morto all’Aja in circostanze oscure, Tudjman (e Izetbegovic) aspettando ad incriminarli sono alla fine deceduti nel loro letto da «eroi», e ora l’incredibile assoluzione di Gotovina. Certo, in carcere ci sono i serbo-bosniaci Radovan Karadzic e Ratko Mladic. Solo loro e a conferma, a dir poco menzognera, che le responsabilità  dei sei fronti di guerre nei Balcani a partire dal 1991-92 fino al 2002 (dalla Slovenia, alla Croazia, alla Bosnia Erzegovina, al Kosovo e alla Macedonia) è stata esclusivamente dei serbi. I quali, confermati grazie a questa sentenza vergognosa, nel loro vittimismo, alimenteranno per reazione il rivendicazionismo nazionalista. Perché è smacco anche per la nuova Serbia democratica, la cui magistratura ha incriminato per prima i propri generali e miliziani aspettando altrettanto fervore nella giustizia degli altri paesi ex nemici.
Ora la sentenza che assolve Gotovina è un colpo durissimo alla possibilità  di una giustizia che rispetti tutte le vittime della guerra e alla costruzione di una memoria condivisa. Una sentenza che riprecipita i Balcani nell’odio. Una bella conclusione per il cosiddetto Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia che chiuderà  presto i battenti: si è assunta la responsabilità  di una amnistia internazionale del fascismo croato e dei suoi crimini. E il mondo non griderà  allo scandalo come farebbe se, per tragica analogia, ad essere assolto fosse stato Ratko Mladic.


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