by Sergio Segio | 6 Novembre 2012 7:44
MILANO — Le risorse del mancato taglio delle aliquote Irpef saranno destinate alla riduzione del cuneo fiscale e dell’Irap sul lavoro. Lo hanno confermato ieri i relatori alla Camera alla legge di Stabilità . In che modo, sarà chiaro al momento della presentazione dei loro emendamenti. Intanto si sa quanto il governo potrà mettere sul tavolo: il «tesoretto» vale 1,1 miliardi nel 2013, 3,1 miliardi nel 2014 e 2,5 miliardi nel 2015. L’ipotesi allo studio è quella di destinare le risorse del 2013 al taglio del cuneo fiscale sul lavoro o, in alternativa alla detassazione dei salari di produttività (con tassazione separata al 10%). Nel 2014 ci sarebbero anche risorse per detassare la quota Irap che pesa sul costo del lavoro.
Poiché i fondi sono limitati, l’idea è quella di un taglio selettivo, di limitare cioè l’intervento ai lavoratori dipendenti, probabilmente nella fascia di reddito tra i 40 e i 55 mila euro all’anno, e di rimandare al 2014 un’eventuale estensione agli autonomi. Si parla anche di un taglio del cuneo fiscale in due tempi: nel 2013 giù dello 0,5%, di un punto nel 2014. Quanto ne beneficerà il lavoratore? L’Italia è uno dei Paesi europei con la maggiore pressione fiscale sugli stipendi. Il cosiddetto cuneo fiscale è appunto la differenza tra il costo del lavoro e lo stipendio netto percepito dal lavoratore. Le tasse non sono solo a carico dell’azienda, ma anche del dipendente sotto forma di trattenute e di contributi previdenziali. Scomponendo lo stipendio di un operaio che in busta baga si ritrova 1.226 euro netti al mese, si vede che al titolare costa 2.241: è il risultato, messo in evidenza dalla Cgia di Mestre, che deriva dalla somma della retribuzione lorda (1.672 euro) e del prelievo a carico del datore di lavoro (circa 568 euro).
Il costo del lavoro è una delle voci che più incide sulla competitività di un’azienda. E infatti il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci, nell’audizione in commissione Bilancio alla Camera del 24 ottobre scorso, ha sottolineato che «l’elevato livello del cuneo fiscale e contributivo sul lavoro e del carico fiscale sulle imprese ancora differenzia e penalizza il nostro Paese rispetto ai partner europei». Secondo i dati Ocse 2011, il cuneo fiscale in Italia è pari al 47,6%, un valore che è cresciuto negli anni e che ha subito un’impennata tra il 2010 e l’anno successivo pari al 4,2%. Se ci confrontiamo con gli altri Paesi europei, risultiamo al sesto posto dopo Belgio, Germania, Francia, Ungheria e Austria. Ma questo non deve indurre a ritenere che andiamo meglio. Infatti, scomponendo la parte a carico del lavoratore e quella a carico dell’impresa, si osserva che siamo tra quei Paesi in cui gli oneri a carico delle aziende sono maggiori rispetto alle trattenute dei lavoratori. Peggio di noi fa la Francia, ma in un contesto industriale differente, dove ad esempio il costo dell’energia è il 40% in meno rispetto al resto dell’Europa, tale da consentire alle aziende d’Oltralpe di reggere la concorrenza (comunque anche il presidente francese Hollande ha allo studio un taglio delle tasse sul lavoro per rilanciare la competitività ). Se si guarda la locomotiva d’Europa, si osserva che il cuneo fiscale è tra i più alti, ma a carico del dipendente. A fronte di 100 euro di retribuzione netta, un’azienda tedesca ne versa 32,9 di tasse mentre le trattenute del lavoratore sono 66,3. Se poi si prende in considerazione l’incidenza del cuneo fiscale sul costo del lavoro negli ultimi undici anni, si constata che in Germania è sceso del 6%, dal 52,9% al 49,8%, consentendo a Berlino di restare competitiva sui mercati mondiali.
Il taglio del cuneo fiscale potrebbe avere un duplice effetto: rilanciare la competitività delle nostre imprese e liberare risorse a vantaggio del lavoratore. Tuttavia la coperta dello Stato è corta e il miliardo messo sul tavolo non è molto. Nel ballo di cifre dei giorni scorsi, si è parlato pure di un risparmio annuo tra i 50 e i 100 euro per i dipendenti in caso di riduzione della tassazione sul lavoro. Non molto, ma quanto basta per far dire all’Istat che un intervento sull’aliquota ordinaria dell’Iva insieme alla riduzione del cuneo fiscale potrebbero avere «un effetto di stimolo (ancorché contenuto) dell’occupazione e di riduzione dell’inflazione», anche se gli effetti sulla crescita del Pil «sarebbero poco significativi».
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