Hollande: “Tagli, ma il welfare non si tocca”

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PARIGI — C’è un capitano che tiene il timone, ha stabilito la rotta, guarda al futuro del paese e non alla prossime elezioni: quel capitano si chiama Franà§ois Hollande e ieri ha cercato di dissipare i dubbi sulla sua linea, le sue scelte economiche, i suoi obiettivi. Il capo dello Stato ha negato una svolta, ma più che in passato ha messo l’accento sulla riduzione della spesa pubblica e sulla necessità  di ristabilire la competitività  delle imprese. Ha insomma vestito i panni dell’uomo che intende riformare alcuni aspetti del paese, senza tuttavia rimettere in discussione il modello sociale francese. Incalzato dall’attualità , ha inoltre annunciato il riconoscimento della coalizione anti—Assad, nata a Doha, come «l’unica rappresentante del popolo siriano e dunque come il futuro governo provvisorio della Siria democratica». E ha rotto il tabù delle armi: adesso che l’opposizione si è unita, «la questione della fornitura di armi si riproporrà  a tutti i paesi che riconosceranno questo governo».
La conferenza stampa è sempre un esercizio difficile, ma Hollande ha dimostrato di padroneggiare i temi in discussione e di avere doti pedagogiche. Uguale a sé stesso, è stato cauto, senza slanci travolgenti o annunci clamorosi. Spesso accusato di aver sottovalutato la gravità  della crisi, si è mostrato preoccupato: «Un’alternanza cambia il potere, ma non le realtà . Capisco le inquietudini dei francesi, i loro dubbi. La sola domanda che vale non è lo stato dell’opinione pubblica oggi, è lo stato della Francia fra cinque anni: il declino non è il nostro destino». E come hanno fatto in passato alcuni suoi predecessori, Hollande ha negato di aver cambiato posizione, di aver limato la sua politica, di aver preso coscienza in ritardo dei problemi di competitività : «Da sei mesi ho fatto le mie scelte e mi ci attengo, senza aver bisogno di non so quale svolta».
Ciò detto, Hollande ha voluto rassicurare, almeno in parte, anche i partner europei. Se i tedeschi puntano il dito contro il peso dello Stato, il presidente ha ribattuto insistendo sulla sua volontà  di ridurre la spesa pubblica, che ha rappresenta il 56 per cento del Pil, un livello record in Europa. Lo sforzo non sarà  indifferente per un paese abituato ad essere protetto
da uno Stato onnipresente: nei prossime cinque anni, la spesa dovrà  essere ridotta di 60 miliardi. I funzionari non devono però temere per il loro status, anche se alcuni
ministeri, come la Pubblica istruzione, vedranno aumentare gli addetti, mentre altri dovranno stringere la cinghia. L’altra garanzia offerta agli europei è rappresentata dalle misure per la competitività . Certo, lo choc chiesto dagli imprenditori non ci sarà , ma 20 miliardi di crediti di imposta per le imprese non sono pochi.
Il capo dello Stato ha infine rivendicato il suo ruolo in Europa, il “riorientamento” delle scelte europee sancito dal vertice di giugno. Quanto alle relazioni francotedesche, assicura, non è vero che siano deteriorate: «Con Angela Merkel ci parliamo francamente e poi cerchiamo il buon compromesso. Abbiamo la responsabilità  di far avanzare l’Europa. Le voci non m’interessano: quel che conta non è quel che si dice, ma quel che noi ci diciamo».


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La svolta c’è stata, anche se le opinioni sono divise su quanto sia profonda, e se sarà  seguita da altri passi. Chi ha guadagnato nell’immediato è stato il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, che ha portato a casa fondi per ricapitalizzare le banche spagnole; fondi che però non aumenteranno il debito sovrano della Spagna.

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