Gli esperti: la riforma sarà  scadente Le preferenze rischio da evitare

by Sergio Segio | 12 Novembre 2012 7:16

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Così, nella cucina della politica, è diffusa la consapevolezza che il testo in preparazione al Senato e i suoi eventuali derivati saranno comunque prodotti scadenti. «Il tutto si risolverà  nel tentativo di limitare i danni», osserva il deputato Peppino Calderisi (Pdl) che dei modelli elettorali è un grande studioso: «Tutti i sistemi di democrazia avanzata si basano su due grandi partiti che raggiungano almeno il 35% dei voti, mentre qui in Italia abbiamo solo forze medio piccole la cui crisi ora rischia di creare l’ingovernabilità  delle istituzioni». Per cui, incalza Calderisi, «l’unica soluzione seria — come ha dimostrato l’elezione diretta dei sindaci — è quella di adottare il sistema francese a doppio turno che però funziona solo se c’è il traino dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Purtroppo per tutti noi, il Pd ha rifiutato di mettersi su questa strada e ora, con il “premietto” del 10%, chiede addirittura di tornare a essere una grande partito a spese degli altri».
Il sistema francese — che consente a Hollande di governare grazie al 29% ottenuto dal Partito socialista — è preso a modello anche dal professor Roberto D’Alimonte, padre del cosiddetto «lodo D’Alimonte», che tanto piace a Pier Luigi Bersani perché permetterebbe a un Pd al 30% di «dare le carte», pur senza la selezione del doppio turno, quando si tratterà  di stabilire chi e come governerà  l’Italia nei prossimi 5 anni. D’Alimonte infatti esalta quel premio di consolazione (10%) da assegnare al primo partito che scatterebbe qualora la coalizione vincente non dovesse raggiungere la soglia necessaria (40% o 42,5%) per ottenere il premio di maggioranza (12,5%): per D’Alimonte, con un consistente premio al primo partito «si rafforza la formazione di una coalizione di governo che non sia semplice ammucchiata. Non è un regalo fatto al Pd ma un possibile elemento di stabilità  del sistema: utile tanto a un governo Bersani quanto a un governo Monti».
Insomma, argomenta D’Alimonte, sarà  Pier Ferdinando Casini (Udc) a cercare di mediare tra il Pd e il Pdl per stabilire se il «premietto» può essere fissato sulla mediana tra il 10% e il 6 %. E se dovesse saltare il tavolo? «Allora — risponde il professore — si deve tornare in fretta al primo testo Malan-Bianco che prevedeva il premio di maggioranza del 12,5% senza alcuna soglia: quello concordato prima che Pdl, Udc e Lega cambiassero idea in seguito alle elezioni siciliane». Tuttavia, insiste D’Alimonte, c’è un problema di calcolo che va considerato, sia nell’ipotesi del testo targato Pdl-Udc-Lega sia in quello frutto di un accordo bipartisan prima delle lezioni siciliane: «Il riparto proporzionale dei deputati va calcolato su 617 seggi (il plenum di 630 sottratti i 12 deputati eletti all’estero e quello in val d’Aosta, ndr) e non su una cifra più bassa che tiene conto anche dell’entità  del premio, come prevede il testo Malan. In quel caso, infatti, il premio netto di maggioranza non sarebbe quindi del 12,5% ma del 9% mentre quello al miglior partito eventualmente fissato al 10% scenderebbe al 7%». E queste percentuali per il Pd — accreditato come primo partito — farebbero la differenza per capire quanto sia distante la soglia dei 316 seggi.
Pino Pisicchio (Api), che ha scritto molti saggi sui sistemi elettorali, è contrario al «premietto»: «Un cadeau che non ha senso perché non è un incentivo alla governabilità ». Dunque, se salta il tavolo intorno al quale oggi si vedono i capi delegazione del Pdl e del Pd — Verdini e Migliavacca — c’è una sola via d’uscita: «Tornare al maggioritario, al Mattarellum con i collegi e il 25% assegnato con il proporzionale». Quel sistema, conclude Pisicchio, «è sperimentato e i collegi sono già  disegnati».
Su un punto però Calderisi e D’Alimonte concordano: il ritorno alle preferenze — votate in commissione da Pdl, Udc e Lega — sarebbe una follia: «Alle Regionali del 2010, in Lombardia ha usato il voto di preferenza solo il 23% degli elettori mentre in Calabria era l’85%», è il dato storico citato dal professore. E Calderisi ricorda che 40 deputati del Pdl hanno firmato contro le preferenze: «Noi faremo di tutto per sbaraccarle, sostituendole con le liste bloccate, con il recupero del miglior perdente, con piccoli collegi uninominali». E anche Pisicchio prevede un dicembre agitato alla Camera: «Con i voti segreti, magari il killeraggio contro le preferenze finirà  per uccidere anche il “premietto”». Lo scenario più fosco, tuttavia, lo descrive Gianclaudio Bressa del Pd: «Se al Senato non passa lo schema di mediazione di D’Alimonte, alla Camera faremo la guerra e sulle preferenze avremmo molti alleati grazie al voto segreto». A quel punto, la maionese elettorale non sarebbe più commestibile.

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