Giappone, efficienza finita lo Stato perfetto si inceppa

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La terza economia del mondo è a un passo dal blocco dei servizi pubblici, causa mancanza di fondi. L’allarme shock lanciato dal premier giapponese Yoshihiko Noda, secondo cui «lo Stato potrebbe cessare presto di funzionare », è confermato dagli ultimi dati economici: le stime di crescita 2012-2013, fissate al 2,2%, sono state tagliate all’1,5% e a settembre la produzione industriale è scesa del 4,1%, terza flessione consecutiva. La potenza- simbolo del boom economico, industriale e tecnologico, gravata da un debito superiore al 220% del Pil, giunge allo stadio estremo del suo lungo tramonto, è scossa dagli scandali e precipita nella tentazione dell’estremismo populista.
La Banca centrale, per la seconda volta in un mese, ha anche allentato la politica monetaria. Misure senza precedenti: oltre mille miliardi di euro per acquistare attività  finanziarie e liquidità  illimitata alle banche per sostenere imprese e famiglie. Sui fondi di Stato infuriano però le polemiche: parte dei 150 miliardi di dollari destinati alla ricostruzione post-tsunami sarebbero finiti in progetti estranei al disastro di diciotto mesi fa, tra cui una strada a Okinawa e strutture sportive nell’Hokkaido, mentre migliaia di sfollati vivono ancora nei prafabbricati. Tra i partiti in rotta è guerra invece sul blocco della legge che autorizza il governo a emettere altre obbligazioni, indispensabili per coprire il 40% del bilancio 2013.
«Se lo stallo parlamentare continua — ha ammesso Noda — i servizi amministrativi saranno sospesi, con gravi conseguenze per la vita delle persone ». In forse gli stessi stipendi di novembre dei dipendenti pubblici, mentre i trasferimenti agli enti locali sono già  stati rinviati. Il governo democratico non può emettere nuovi bond per l’opposizione liberale, maggioranza in uno dei rami del parlamento. Il sì del centro-destra è vincolato all’impegno del centro-sinistra a sciogliere le Camere e andare ad elezioni anticipate entro dicembre.
La maggioranza accusa così l’opposizione di «usare la legge sui bond come arma politica ». Slogan da campagna elettorale, ma lo spettro di una paralisi dell’apparato dello Stato e di una svolta verso politiche più autoritarie è reale.
La domanda interna è crollata, il Paese resta in deflazione, la stagnazione in Occidente decima l’export e lo scontro con la Cina sugli arcipelaghi contesi nel Pacifico demolisce le relazioni con il primo partner commerciale. Il Giappone non riesce ad uscire dalla crisi energetica innescata da Fukushima e già  prima dell’estate il governo Noda si è salvato barattando il sì al raddoppio dell’Iva con l’annuncio delle dimissioni. Tokyo ha appena approvato un pacchetto di stimolo da 4,3 miliardi di euro, finanziato con fondi di emergenza, per aumentare il Pil dello 0,1%. Il braccio di ferro politico rischia di lasciare senza copertura il budget 2012-2013, ma soprattutto di spingere la nazione verso forze sempre più estremiste, xenofobe e favorevoli al riarmo. In un anno si sono succeduti tre governi, sei premier in sei anni, e nell’ultimo semestre il disavanzo ha toccato quota 32 miliardi di euro, primato storico. Scandali politici, come le dimissioni del neo-ministro della Giustizia Keishu Tanaka per rapporti con la yakuza (la mafia nipponica), paura dell’impoverimento, insofferenza per la protezione militare Usa, riesplosione dei rancori atavici verso Cina e Corea, favoriscono l’ascesa di nuovi leader nazionalisti ostili al sistema bipolare. Secondo i sondaggi sono destinati a trionfare nelle urne e la prospettiva di un Giappone governato dal radicalismo patriottico dell’estrema destra spaventa i vicini dell’Asia e il resto del mondo.
Tra i leader emergenti, il giovane sindaco di Osaka, Toru Hashimoto, il vecchio governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara e lo stesso capo dell’opposizione conservatrice, Shinzo Abe. Il primo è il simbolo del neo-populismo che lotta contro il centralismo della capitale, il secondo è l’icona della xenofobia esaltata dal conflitto con la Cina per le isole Senkaku-Diaoyu, il terzo è l’ex premier liberale sostenuto dai falchi che invocano la ricostruzione di un «grande Giappone imperiale». Un cartello che minaccia di allearsi per scongiurare «una crisi economica e di sovranità  che rischia di far esplodere una delle superpotenze del pianeta». Pericolo reale, a meno che la mancanza di fondi non costringa Tokyo a sospendere prima servizi all’avanguardia, come i treni-missile Shinkansen: questi sì, ultima
bandiera nazionale.


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