Gaza, stop alle incursioni e apertura dei valichi

by Sergio Segio | 22 Novembre 2012 5:44

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GERUSALEMME – Un accordo piccolo piccolo, per fermare una crisi che si faceva enorme. L’ultimo autobus della diplomazia viene preso al Cairo alle otto di sera, l’ottavo giorno di guerra, che s’era aperto nel modo più pericoloso: con un bus vero, il numero 142, fatto saltare da una bomba dietro il ministero della Difesa di Tel Aviv. Quando pochi ci speravano, l’accordo viene annunciato dal presidente egiziano Mohammed Morsi e presentato al mondo dalla segretaria di Stato americana Hillary Clinton: un cessate il fuoco immediato, garante l’Egitto, che in pochi punti stabilisce l’impegno d’Israele a fermare raid e omicidi mirati, di Hamas a smetterla coi razzi e gli attacchi, aggiungendo in più vaghissime condizioni sulla «riapertura dei valichi» di Gaza. Felicitazioni da Obama in persona a Morsi e alla sua «straordinaria mediazione». Spari in aria nella Striscia, grida di «vittoria!», caroselli di auto nelle strade: «Israele ha fallito tutti i suoi obbiettivi», dice il leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal, ringraziando l’Iran per l’appoggio.
Silenzio nel Sud d’Israele, dove ieri sera pioveva ancora qualche razzo e il 70% della popolazione, dice un sondaggio, è contrario alla tregua perché voleva un’invasione di terra: «Bisogna navigare a vista ed essere responsabili — ha spiegato il premier israeliano Bibi Netanyahu —, abbiamo dato una chance alla proposta egiziana di cessare il fuoco», anche se «vigileremo con attenzione».
La chance è quasi un azzardo. Israeliani e palestinesi hanno accettato di firmare la bozza cairota anche perché nella sostanza, a parte il silenzio delle armi che è il risultato più importante, a prima vista non contiene nulla di nuovo. Nulla, in particolare, di quanto le parti chiedevano. Non è chiaro quali siano i divieti «tolti» ai valichi della Striscia: si confermano i vecchi limiti a tutte le esportazioni da Gaza, le limitazioni all’uscita della popolazione e quelle alle importazioni di vetro, cemento, acciaio e di tutto ciò che, secondo gl’israeliani, può servire a fabbricare ordigni. Non è spiegato se da Rafah, il valico egiziano, potranno d’ora in poi passare anche le merci. Non si sa che fine faranno i tunnel sotto il Sinai, che tre mesi fa Morsi s’era impegnato a sigillare e che sono, invece, tutti ben aperti per far passare i razzi iraniani. L’accordo dice che i dettagli verranno definiti entro stasera: vedremo. Intanto, è uno scrosciare d’applausi, dichiarazioni, avvertimenti: «La gente merita la possibilità  d’essere libera dalla paura e dalla violenza» (Hillary Clinton); «Hamas ha incassato una dolorosa sconfitta» (Ehud Barak, ministro della Difesa israeliano); «Spareremo solo se le nostre forze sono in pericolo» (Yoav Mordechai, generale di Tel Aviv).
I pericoli non mancano. L’Iran si compiace degli aiuti forniti a Hamas e ne promette di nuovi. Dal Libano degli Hezbollah, secondo episodio in tre giorni, partono due Grad proprio mentre c’è l’annuncio della tregua.
Il bilancio di questa guerra, se qui si ferma, è di 153 morti (sei israeliani) compresi 36 bambini, quasi mille feriti, 1.400 razzi tirati su Israele, 1.500 bombe su Gaza.
Le cifre potevano appesantirsi ieri mattina, quando Tel Aviv è ripiombata nello choc degli attentati: una bomba, piazzata sotto un sedile dell’autobus che collega le periferie di Ramat Gan e di Bat Yam, esplosa sul viale Re Saul che costeggia l’ufficio di Barak e la sede del Mossad. Ventotto feriti, due gravi, la memoria dell’ultimo attentato in città , sei anni fa alla stazione centrale: col sangue sul marciapiede, le scarpe sventrate, le bottiglie e i sacchi della spesa buttati dai passeggeri.
Le telecamere della strada avrebbero ripreso due persone scappare, un uomo e una donna. «Ho sentito il botto e sono uscito a vedere — dice Jack Bell, 45 anni, commesso del supermarket di fronte —. C’era una ragazza con le mani insanguinate che mi chiedeva aiuto. Credevo fosse un film. Invece, è la vita che ci aspetta». La normalità  è ancora lontana. Stasera si doveva giocare una partita di coppa, nello stadio poco lontano dal bus, l’Uefa l’ha cancellata: tregua o no, il pallone può attendere.

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