Firenze 10+10, miracolo a metà 

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Per la prima volta indignados ventenni, giovanissimi degli «occupy» di Londra e Francoforte, femministe radicali e gruppi dell’est Europa si sono incontrati con i movimenti che dieci anni fa nello stesso luogo avevano costruito il primo Forum sociale europeo, all’insegna della critica alla globalizzazione liberista, della solidarietà  e della pace. A Firenze 10+10 si sono ritrovati studenti e precari italiani ed europei, settori di sindacato, ambientalisti e no-tav, gli economisti di dieci paesi diversi che hanno lanciato la Rete europea degli economisti progressisti, la coalizione AlterSummit che unisce 80 organizzazioni sindacali e di movimento di tutta Europa.
Tutti capaci di intensificare il lavoro comune su scala europea all’interno delle singole reti, un processo che è diventato la nuova modalità  di azione in un quadro in cui l’identità  europea è ormai data per scontata. Capaci di dialogare sull’austerità , la democrazia, i diritti e i beni comuni, ma con molta voglia di affermare il proprio punto di vista parziale, con poca capacità  di ascolto e con pochissimo interesse a costruire una visione comune. E’ questo il miracolo mancato a Firenze.
Di qui l’assenza di un documento finale che definisca i tratti comuni del movimento, spieghi l’«altra Europa» che si vuole, avanzi richieste di cambiamento al di là  dello slogan «La nostra democrazia contro la vostra austerità ». Accordo solo sulla mobilitazione contro il vertice europeo a fine marzo 2013 – tutta da definire su obiettivi e modalità  – e presa d’atto delle iniziative che vari gruppi hanno in cantiere, lo sciopero europeo del 14 novembre, una nuova edizione di «Blockupy» a Francoforte, l’AlterSummit di inizio giugno ad Atene. Nessun nuovo appuntamento che dia seguito al dialogo di Firenze 10+10, nessun percorso per un’alleanza sociale con un progetto di cambiamento.
A sei anni dall’inizio della crisi, con la periferia europea fatta a pezzi dall’austerità , le proteste frammentate che si sono incontrate a Firenze sono rimaste prigioniere delle proprie irriducibili individualità . Quella che non c’è (più, o ancora) di fronte alla crisi europea è una visione della politica come spazio del cambiamento. Lo sapevamo da tempo. La politica – e la democrazia – è stata azzerata dai meccanismi di decisione dell’Europa, dall’inconsistenza di partiti e parlamenti. Non si è rinnovata con le proteste di sindacati e movimenti, spesso chiuse in lotte di resistenza nazionali, né con l’ingenuo sforzo degli indignados di «reinventare» la democrazia come comunicazione tra piccoli gruppi.
Non si poteva chiedere a quattro giorni di discussione «dal basso» di ridare un senso alla politica e di fare dell’Europa il terreno d’azione comune. Ma si potrebbe chiedere ai sindacati europei che hanno deciso il primo sciopero comune mercoledi prossimo – e alla Cgil in particolare – di fare di quella giornata un’occasione d’incontro tra i lavoratori e i movimenti impegnati sulla crisi europea, di fare un passo verso un’alleanza sociale con giovani, senza lavoro, migranti e associazioni, di guardare oltre i confini nazionali, di «sbilanciarsi» sui contenuti di una possibile alternativa comune.


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