Fiat, impianti italiani tutti in Cig a Natale

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L’ultimo annuncio del sindacato è di ieri e riguarda Melfi: i 5 mila dipendenti dello stabilimento si fermeranno per Cig il 17 dicembre e poi, ancora, per altre 14 giornate lavorative tra il 21 dicembre e il 13 gennaio.
L’elenco in realtà  non si esaurisce in Basilicata, dove i tecnici di Sergio Marchionne hanno cominciato le visite finalizzate agli investimenti per il passaggio della produzione dalla Grande Punto ai Suv Fiat e Jeep. A Cassino la Cig aggiungerà  alle festività  altri sette giorni di chiusura. A Pomigliano si salirà  a 17 (e l’impianto della Panda si fermerà  anche dal 26 novembre al 10 dicembre). A Mirafiori, lo stabilimento simbolo del gruppo ma anche il più problematico e già  con il record di «cassa», si toccherà  il massimo: 18 giornate lavorative oltre a quelle di festa. Fa in qualche modo storia a sé Grugliasco, dove 450 dipendenti sono appena rientrati per avviare le linee della nuova Maserati (lancio previsto a inizio 2013, con successivo graduale rientro dei rimanenti 550 lavoratori). Non si salverà  dalla «Cig natalizia», però, nemmeno la Sevel Val di Sangro: i veicoli commerciali sono stati, finora, quelli che meglio hanno retto alla crisi, ma non sono un’isola senza problemi e anche lì è atteso un annuncio di stop temporaneo.
La questione è sempre la stessa. Ossia adeguare la produzione a vendite che continuano a precipitare, per tutti (o quasi) i costruttori e più o meno ovunque nell’area euro: anche ottobre è stato archiviato con un pesante —12,4% in Italia e con un altro —4,6% nell’intera Europa, dove le immatricolazioni complessive mensili sono ormai scese sotto quota un milione.
La crisi, pesantissima, risparmia ormai pochissimi marchi premium e seguita a picchiare duro soprattutto i gruppi generalisti. Il Lingotto non è tra quelli messi peggio, nel continente, ma è comunque in fondo alla classifica delle performance negative. È vero che ottobre qualche minimo segnale di relativo, piccolo recupero l’ha riservato. Fiat è tornata al sesto posto, risorpassando Bmw, e la Panda è entrata tra i dieci modelli più venduti: nona, grazie al fatto che è l’unica auto (con la Nissan Qashqai) a presentarsi con volumi in crescita. Ma pur se il suo +23,9% è un record, le 17.377 consegne — compresa la «Panda polacca» — sono evidentemente un numero troppo basso per consentire agli impianti di girare a ritmi normali.
Non sono queste, comunque, le notizie che buttano giù Fiat in Borsa. Ieri il titolo ha bruciato il 5% a partire da un report Ubs (di cui Marchionne è stato vicepresidente). Giudizio tagliato da buy a neutral e, soprattutto, evocazione delle parole «aumento di capitale». La base? Alcuni timori comuni, tra gli analisti. Uno: tifavano per la chiusura di fabbriche in Italia, e l’amministratore delegato ha confermato il contrario. Due: Chrysler è un grande successo, ma proprio perciò il sindacato Usa non si accontenta dell’offerta sul tavolo. E rilevare le prossime quote da Veba (per ora «a rate» del 3,3%) potrebbe costare al Lingotto il triplo di quanto fin qui previsto e proposto.


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