ESCALATION DI GUERRA

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Gli elementi di questa nuova mini-guerra sono sintomatici del terribile vicolo senza uscita in cui si trova il conflitto, sotto la guida di dirigenze criminali da entrambe le parti. 
Perché ora? Il governo israeliano è interessato a consolidare la sua politica espansionista e l’annessione strisciante della Cisgiordania. Si avvicinano le elezioni politiche di gennaio in Israele. 
E il governo, una coalizione di forze fondamentaliste, razziste e della destra moderata, è preoccupato da tre questioni in particolare. Primo: la minaccia del leader palestinese Abu Mazen di presentare all’assemblea delle Nazioni unite la richiesta di accettare la Palestina come stato «osservatore», creando problemi a Israele nell’arena internazionale. Secondo: la rielezione alla presidenza degli Stati uniti di Barack Obama, che forse sarà  più deciso nelle sue posizioni verso Israele soprattutto dopo che il primo ministro Benyamin Netanyahu ha appoggiato in modo sfacciato il suo amico personale e ideologico Mitt Romney. Il terzo problema: il deteriorarsi della situazione economica, dopo il risveglio di proteste sociali dell’anno scorso, fa pensare che la politica ultraneoliberista di Netanyahu pagherà  un prezzo elettorale.
Sono tre questioni serie per un governo che non ha interesse alla pace, ha fatto di tutto per non riprendere i negoziati, ogni giorno costruisce nuove colonie nei territori occupati e confisca nuove terre palestinesi. E continua a perseguire il suo reale progetto – l’espansionismo e l’annessione dei Territori palestinesi – mentre l’opinione pubblica internazionale ha dimenticato gli effetti terribili dell’occupazione. Certo, «nei territori occupati non succede nulla»: i ristoranti e caffè di Ramallah fanno scordare ai visitatori che questa è solo un’isola artificiale. Ma il «presidente» Abu Mazen esercita un «governo» immaginario, decine di migliaia di agenti di polizia e paramilitari garantiscono agli israeliani la tranquillità  nei territori, e nascondono la realtà  di un’occupazione brutale.
D’altra parte Abu Mazen, consapevole della sua impopolarità , della corruzione del governo palestinese in Cisgiordania e di una situazione esplosiva, si rivolge alle Nazioni unite. Questo suo gesto – definito «terrorismo politico» da alcuni ministri israeliani – è visto come una minaccia anche dal governo di Hamas a Gaza. Hamas, che contava sull’arrivo del Fratelli Musulmani al governo al Cairo, comincia a rendersi conto che l’Egitto è qualcosa di complesso e la sua élite comprende che l’uscita dalla crisi economica attuale passa per l’alleanza con gli Stati uniti.
Il passo di Abu Mazen all’Onu inquieta le fazioni islamiche perché allude alla possibilità  di progresso per i palestinese attraverso la diplomazia, invece che attraverso l’azione militare. Del resto anche Hamas sa bene che le armi non porteranno all’indipendenza per i palestinesi, e perciò ha fatto dei tentativi di aprire canali diplomatici. L’Occidente però non parla con i «terroristi», con l’eccezione di alcuni terroristi alla guida di vari stati democratici; per questo Hamas rimane isolata, e si inventa passi equivoci come l’alleanza con l’Iran, destinata a fallire a causa della rivalità  tra Tehran e il Cairo o il Qatar.
In questo contesto, Hamas ha considerato di poter giocare sul controllo – o mancanza di controllo – degli attacchi di missili da Gaza su Israele meridionale. E’ ben vero che la maggioranza degli attacchi sono opera di gruppi islamici che sfuggono a Hamas, ma la dinamica ha portato Hamas a seguire questa linea politica esplosiva. Quei missili avevano un duplice significato: siamo più efficenti di Abu Mazen di fronte al nemico sionista (Hamas si oppone all’iniziativa presso le nazioni unite) e non temiamo la forza dissuasiva di Israele.
E’ necessario chiarire: che fossero missili isolati o attacchi più massicci, il fatto è che un milione di israeliani si trovava sotto il costante pericolo di missili che arrivano sempre più lontano. Milioni di israeliani ne hanno concluso che era imperativo usare la forza.
Per un governo israeliano come quello attuale, non c’è alleato migliore di Hamas: gli permette di ripetere agli israeliani e all’opinione pubblica internazionale che tra i palestinesi non c’è un partner per la pace, e che la forza è l’unica risposta al conflitto.
Non ci sono attenuanti per la criminale alleanza di dirigenze – israeliana e palestinese – che antepongono i loro interessi a quelli dei loro popoli. Hamas ha sbagliato calcolo, o non ha voluto considerare il fatto che sarà  il popolo palestinese a pagare il prezzo della politica criminale del governo israeliano. E il governo di Israele, mosso dalla sua politica fondamentalista-bellicista, ora sfrutta la riuscita della sua forza aerea. Mentre coloro che perdono la vita sono cittadini delle zone più povere del paese. Netanyahu ha puntato su Romney mentre il suo amico, il re dei casinos Adelson, gli ha regalato decine di milioni di dollari. Oggi punta sulla pressione degli Stati Uniti sul presidente egiziano Morsi, e nel gran pasticcio del Medio oriente il risultato potrebbe essere tragico.
Sì, nemmeno a me piace vivere sotto la pioggia di missili che cade sulla regione in cui si trova il mio istituto di studi. Ma la criminale miniguerra avviata da Israele dice ancora una volta che il conflitto non si risolverà  sul campo di battaglia. Se Hamas e l’Olp restano impelagati nella loro guerra interna e non tornano all’unità , il sangue e le iniziative diplomatiche di appoggio o di condanna serviranno solo a dare copertura al progetto coloniale di Israele – una Israele sempre più fondamentalista e razzista.


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