Elettroshock la scossa violenta che ancora resiste

by Sergio Segio | 7 Novembre 2012 19:21

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In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. «Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti». Non tutti sono in grado di raccontarlo come Alda Merini, ma sono centinaia le persone che vivono vite in lotta contro depressione, manie, schizofrenie. La malattia mentale riempie il tempo e lo spazio di case e anime, quelle dei malati, quelle dei loro congiunti. Per chi ne sta fuori spesso è ancora un male scandaloso, di quelli di cui è sconveniente parlare, quelli per cui è meglio non chiedere «come sta». Anche l’elettroshock è un argomento tabù e non tutti sanno che in decine di ospedali pubblici e privati del nostro Paese, viene praticata legalmente, ogni giorno, la T.e.c., la terapia elettroconvulsivante volgarmente detta elettroshock. Non sono solo spettri di poeti a poter raccontare quella scossa, ma anche la casalinga pescarese, il dirigente scolastico sardo, la ragazza triestina, il quarantacinquenne sudtirolese e il suo conterraneo che ora lavora in un’associazione per il sostegno ai malati di mente.
1.400 TRATTAMENTI NEGLI ULTIMI TRE ANNI
La T.e.c. non è una pratica scomparsa con la riforma Basaglia, con l’apertura delle porte dei reparti psichiatrici e con la chiusura dei manicomi. Tra il 2008 e il 2010 in Italia sono stati fatti 1400 elettroshock in novanta strutture sanitarie pubbliche e private tutte elencate in una tabella del ministero della salute. In genere i pazienti si sottopongono alla terapia per cicli, col ricovero e un’anestesia di cinque minuti che consente a una leggera scossa di due/otto secondi di attraversare il cervello. I picchi della pratica si rilevano nei reparti guidati da “elettroshockisti” convinti: medici che hanno anche una associazione, l’Aitec, e che hanno chiesto ufficialmente a ministri della sanità , in anni recenti, di incrementare i mezzi utili a diffondere la T.e.c. Una terapia «salvavita nei casi gravi di catatonia maligna e guaritrice nel 50 per cento dei casi di depressione maggiore», dice il primario del reparto psichiatrico dell’ospedale di Brunico, Roger Pycha. Una «terapia ascientifica, ottocentesca e abbrutente, che spegne le persone senza curarle», dice il segretario di Psichiatria democratica Emilio Lupo. Gli fa eco il collega basagliano Ernesto Venturini «Negli anni 50 e 60 praticai la T.e.c. con convinzione, da assistente universitario, poi vidi cosa accadeva ai malati che venivano curati con assistenza 24 ore su 24 a Gorizia da Basaglia e capì che l’elettroshock non solo è un trattamento umiliante ma che i miglioramenti sono solo legati alla perdita temporanea della memoria: ci si dimentica dell’elemento ossessivo salvo poi avere peggiori ricadute legate anche alla distruzione dell’autostima».
Ma la vexata questio è la scientificità  della terapia elettroconvulsionante. L’elettroshock è una pratica empirica non scientificamente provata, dicono i detrattori, tesi che i fautori negano dicendo che all’estero c’è fior di letteratura sulla T.e.c.. L’argomento infervora: Psichiatria democratica ha pronta una campagna contro: «No elettroshock» è lo slogan, con la vignetta di Staino, il sostegno di altre cinque associazioni tra cui Libera e Cittadinanzattiva e di alcuni parlamentari. Obiettivo? Arrivare al divieto di elettroshock in Italia, uno dei paesi d’occidente dove, comunque, è meno diffuso: la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Danimarca hanno numeri superiori.
A maggio anche la commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino si è occupata di T.e.c., tra l’altro con una ispezione all’ospedale di Brunico e una audizione del ministro della salute Balduzzi. Nei verbali dell’ispezione a Brunico si legge di un reparto psichiatrico con le porte chiuse a chiave in buone condizioni ma con dentro un paziente che chiedeva l’elettroshock perché gli dava ‘gioia’, come egli stesso ha riferito ai parlamentari, aggiungendo che non gli era stata proposta terapia farmacologica prima del trattamento elettrico (fattibile, ex lege, solo se cicli di farmaci sono stati inefficaci). Non si deve immaginare l’elettroshock come un trattamento disumano, una tortura per poveri pazzi, fa capire il senatore Marino, ma, considerando la delicatezza della materia «bisogna vigilare affinché i protocolli vengano rispettati». Non solo: i parlamentari a lavoro sul tema hanno anche incontrato un uomo che, pur avendo problemi psichici gravi tanto da aver subito T.e.c., aveva un fucile e con esso cacciava. Un caso che ha colpito tutti e che è finito nei verbali di una delle sedute della commissione d’inchiesta sul sistema sanitario dedicate all’elettroshock. Lo stesso mese è stato audito il ministro della salute Balduzzi che ha fornito i dati sulla terapia elettroconvulsionante in Italia e ricordato quali sono i confini entro i quali può essere praticata.
IL PARADOSSO TOSCANO
Ma quali sono le regole? Le linee guida sono state dettate dal ministero della sanità  ai tempi di Rosy Bindi e dicono che l’elettroshock può essere somministrato solo dopo che per più volte sia stata tentata la via farmacologica e previo esame del soggetto da curare da parte di un terzetto di esperti esterni alla struttura psichiatrica in cui si affaccia il paziente per la T.e.c. Le stesse linee guida del 1999 rilevano che è tutta da dimostrare la superiorità  della T.e.c. rispetto ad alcune cure farmacologiche e che frequenti sono i rischi di ricadute. Proprio per questo si incrementano i controlli e si richiedono consensi informati, affinché la T.e.c. sia l’ultima spiaggia dopo i farmaci e solo in casi di gravi pazienti (depressione maggiore, ipertermia maligna, sindrome maligna da neurolettici).Alcune regioni (Toscana, Piemonte, Marche) hanno provato a vietare l’elettroshock ma hanno incontrato la bocciatura della Corte Costituzionale poiché il divieto di una terapia medica non rientra nei poteri di un ente locale, nonostante la riforma del 2001. Capita così che la Toscana, il cui consiglio regionale si era schierato con una legge all’unanimità  contro la T. e.c., sia oggi una delle regioni in cui è praticata con numeri record all’ospedale di Pisa che, insieme a Brunico e Oristano, e uno dei poli pubblici di questa terapia.

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Si praticava al mattatoio sui maiali
di G.S.

ROMA L’elettroshock è nato all’Università  di Roma nel 1938, per mano del dottor Ugo Cerletti. La prima persona ad esservi sottoposta fu un uomo che, fermato dalle forze dell’ordine alla stazione Termini: si agitava troppo per una crisi psicotica acuta. Così su di lui venne sperimentata la tecnica di impulsi elettrici in testa, fino ad allora si usava al mattatoio di Testaccio per addolcire i maiali furenti, quando sentivano imminente il massacro.
Erano gli anni bui della dittatura, i Trenta e i Quaranta, quelli in cui della T.e.c., a detta degli stessi fautori, in Italia si abusò. I pazienti vi venivano sottoposti numerosi e senza anestesia. «Era la psichiatria biologica oggettivante spiega lo psichiatra basagliano triestino Peppe Dell’Acqua la stessa delle contenzioni e della lobotomia. Pratiche a cui in America furono sottoposti anche pazienti eccellenti come Rosemary Kennedy, sorella di John, lobotomizzata a 23 anni perché troppo vivace». Poi arrivò Franco Basaglia che ai pazienti psichiatrici negli anni 60 e 70 diede libertà  e tolse le divise, inserendoli in una serie di relazioni, opportunità  e cure che duravano l’intera giornata, secondo una concezione esistenzialista e fenomenologica della malattia mentale. Concezione per cui il malato, l’uomo, non può corrispondere a una serie di sintomi. Così la T.e.c. finì il suo momento di gloria, salvo restare molto praticata, ancora oggi, nei reparti psichiatrici guidati da fautori di questa tecnica. Nella tabella del ministero della salute che elenca i ‘dimessi’ dopo T.e.c., spiccano i numeri dell’azienda ospedaliera di Montichiari con 421 elettroshock fatti nel triennio 2008-2010; i dati del policlinico universitario di Pisa con 163 T.e.c. nel triennio e le 195 del polo ospedaliero San Martino di Oristano. Poi ci sono l’ospedale di Brunico con 102 trattamenti e la casa di cura privata di Verona ‘Villa Santa Chiara’ con 254 in un triennio in cui in tutta Italia ne sono state praticate 1400.
Alla terapia tutti vengono sottoposti. Dai dipartimenti di salute mentale raccontano che tra i pazienti ci sono molte donne, malati per cui i congiunti non sanno più che pesci prendere e che si rivolgono a cliniche private alla ricerca di un beneficio considerato subitaneo e facile, ’insospettabili’ uomini di mezza età  e anziani. Proprio contro l’applicazione della terapia agli ultra-settantacinquenni si schiera con più forza il segretario di Psichiatria democratica Emilio Lupo, sottolineando tra l’altro i rischi di morte legati all’anestesia oltre che il non senso di un intervento tardivo su un malato cronico.

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