Ecco i conti segreti dei grandi evasori nella banca inglese

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LONDRA — Chiamiamolo come vogliamo: talpa, corvo, angelo vendicatore. Comunque sia, è chiaro che dentro alla Hsbc, storica istituzione finanziaria, c’è qualcuno che ha in mano una lista nera con 8.474 nomi di evasori, depositari di conti nel paradiso fiscale di Jersey. E questo signore ha deciso di usarla con una certa sapienza per mettere sulla graticola uno dei colossi del credito mondiale, la numero uno nella City visto che si tratta di un gioiello con 6.900 uffici distribuiti in 84 Paesi, con 85 milioni di clienti, con una capitalizzazione complessiva di mercato alle Borse di Londra, Parigi, Nuova York, Hong Kong e Bermuda pari a 136 miliardi di dollari.
La lista è stata consegnata, chissà  come, agli uffici della tasse di sua maestà  che hanno aperto subito un fascicolo da codice rosso ed è stata regalata in copia pure al quotidiano Daily Telegraph (non si sa mai) che ne ha giustamente montato il titolone di prima pagina.
Diciamo subito che di questi 8.474 titolari di piccole o grandi fortune fatte approdare, secondo l’anonimo informatore proprio attraverso la Hsbb, nell’isola offshore del Canale, più della metà  sono cittadini britannici (4.388 con una ricchezza di 699 milioni di sterline) ma che le «colonie» straniere di esportatori sono tante (ben 33) e che l’Italia si colloca (in testa svettano Israele, Francia e Spagna) al nono posto della speciale classifica con 166 posizioni aperte a Jersey per un tesoretto di 27 milioni e 800 mila euro.
Il quotidiano londinese snocciola il nome e il cognome di tre connazionali ma la prudenza e il rispetto della regola «o tutti o nessuno» ci impone un po’ di cautela. Di certo non sono identità  sconosciute alla giustizia milanese che si è occupata della truffa orchestrata con la vendita di titoli derivati alle amministrazioni locali: tre dirigenti di banche importanti, non la Hsbc. Una coincidenza davvero curiosa.
La compagnia è variopinta. Fa un po’ di effetto, ma non è una novità , che nel dossier degli 8.474 depositi cifrati ci sia ad esempio un trafficante di cannabis scappato in Venezuela: quel Brian Bayes che si trovò costretto a sparire perché una fabbrichetta di fuochi artificiali saltando per aria mandò «in fumo» una montagna di erba che lui era pronto a smerciare. I poliziotti accorsero e il loro olfatto investigativo li portò ai depositi carbonizzati. Ma fra il plotone degli evasori c’è anche Michael Lee che custodiva 300 armi, forse da vendere. E, scrive il Daily Telegraph, una discreta rappresentanza di celebrità  e di figure non secondarie della City. Con al seguito qualche negoziante londinese, tipo un droghiere, che riusciva nel giochetto di prestigio di spostare i risparmi verso a Jersey.
Aldilà  della lista nera degli 8.474 portafogli clandestini c’è una questione: come e perché la Hsbc ha consentito, se davvero ha consentito, che passando dai suoi buoni uffici si potesse e si riuscisse in mezzo mondo ad aggirare la ragnatela del fisco? La grande banca ha promesso di volerci vedere chiaro e di collaborare con l’Hm Revenue and Customs, che raccoglie le imposte e va a caccia di chi non le paga. Ma qualcosa non funziona alla perfezione.
Sbagliare una volta può accadere. Due, per una istituzione del genere, diventa diabolico. Sulla testa di Hsbc pende già  un rapporto del Senato americano che la crocefigge per triangolazioni illegali e per sospetto di riciclaggio di denaro sporco, terrorismo e droga. Cosa che rischia di costarle, per calcolo della stessa Hsbc, una multa da 2 miliardi di dollari, in parte accantonati e pronti per il saldo del debito con gli americani: le trattative sono in corso. Poi ci sono i messicani che hanno contestato, sempre per riciclaggio, una infrazione di 27 milioni di dollari, poco cosa ma pur sempre sgradevole. Adesso la lista degli evasori nella piccola isola di Jersey, in mezzo alla Manica. Ombre su ombre. Ma c’è un «corvo» che vola.
Fabio Cavalera


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