“Due anni e 32 miliardi in più per salvare Atene”

Loading

BRUXELLES — Due anni di tempo in più e altri 32 miliardi di euro per l’ennesimo salvataggio della Grecia. È questo in sostanza il senso del rapporto che, dopo mesi di tergiversazioni e negoziati, la troika composta da Commissione, Banca centrale e Fondo monetario internazionale, ha presentato ieri ai ministri dell’eurogruppo, sia pure sotto forma di bozza non definitiva. Il Consiglio, in linea di massima, ha approvato la richiesta di proroga. I governi dell’eurozona ieri hanno discusso il caso Grecia fino a tarda notte, senza poter comunque prendere una decisione definitiva prima di avere il via libera del Bundestag. La questione, dunque, sarà  rinviata ad una nuova riunione da tenersi il 20 novembre, prima del vertice di fine mese, in cui si dovrà  decidere come far fronte ai maggiori costi che il rinvio di due anni comporta.
All’indomani del voto del parlamento greco, che ha deciso i nuovi tagli di bilancio chiesti dagli inviati europei, il rapporto della troika «è sostanzialmente positivo», ha spiegato ieri il presidente dell’eurogruppo. «I greci hanno mantenuto i loro impegni, ora tocca a noi fare altrettanto », ha concluso Jean-Claude Juncker. Ma la cosa non si presenta così semplice.
Il documento che ieri sera era sul tavolo dei ministri spiega che l’obiettivo di raggiungere un debito pubblico al 120 per cento entro il 2020 è completamente irrealizzabile sia per il ritardo accumulato dalle autorità  greche nel corso della doppia campagna elettorale, sia perché la recessione, peggiore del previsto, ha fatto ulteriormente sballare i conti. Per arrivarci, mancano comunque oltre venti miliardi. Sarebbe dunque ragionevole concedere alla Grecia altri due anni di tempo, fino al 2022, anche se l’Fmi resta contrario a questa ipotesi. Ma il rinvio costa, e alla fine gli europei dovrebbero comunque iniettare altri 32 miliardi di prestiti per evitare un nuovo default del Paese. Intanto, già  a fine settimana, Atene deve rimborsare 5 miliardi di titoli in scadenza e, se non riceverà  subito almeno una parte della tranche del prestito congelata da settembre, rischia una bancarotta immediata.
Francia, Italia, Belgio, Spagna e Lussemburgo ieri erano favorevoli a rispondere positivamente alla richiesta greca e alle proposte della troika. Molto più prudente lo schieramento dei “falchi”. La Germania deve comunque ottenere un via libera dal proprio parlamento, che è da sempre ostile a sborsare altri soldi. Anche l’Austria ha problemi: «Un rinvio costa e non è pensabile che questi soldi debbano essere messi ancora una volta dai contribuenti: occorre esercitare la fantasia per trovare una soluzione», ha spiegato la ministra austriaca Maria Fekter.
Nessuno più si augura un default greco. Ma il problema è come trovare i soldi che mancano senza lanciare un terzo prestito salva Grecia, che molti parlamenti del Nord non sono disposti ad accettare. Una soluzione potrebbe forse essere trovata allungando le scadenze, abbassando i tassi dei prestiti già  varati e reinvestendo gli utili degli interessi lucrati sui prestiti già  concessi. Il costo per i contribuenti non cambierebbe, ma sarebbe in qualche modo mitigato e mascherato. Sempre sul fronte della crisi, ieri la Merkel ha compiuto una visita lampo in Portogallo per portare il proprio sostegno al governo di Lisbona che è impegnato a varare nuovi tagli di spesa. «Il Portogallo sta attuando il programma in modo eccellente», ha detto la Cancelliera. Ma il clima anche lì sta peggiorando. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza contro la leader tedesca, che è stata ricevuta in un castello alle porte della capitale per evitare incidenti: lo stesso edificio dove era stato ricevuto Gheddafi nella sua ultima visita in Portogallo.


Related Articles

Atene torna in piazza per l’ultima resistenza “Non ne possiamo più”

Loading

Chiusi per un giorno uffici, banche, scuole   In fiamme una bandiera della Germania, considerata troppo intransigenteSolo la forte pioggia ha evitato che la protesta degenerasse

UOMINI E NO

Loading

Non è un problema tecnico. Non c’era bisogno di particolari competenze ingegneristiche o finanziarie per capire, fin dal 21 aprile di due anni fa, quando al Lingotto fu presentato in pompa magna, che il piano «Fabbrica Italia» stava sulle nuvole. Anche un bambino si sarebbe reso conto che quella produzione da aumentare dalle 650.000 auto del 2009 al milione e 400mila del 2014, quel milione di veicoli destinati all’esportazione di cui «300.000 per gli Stati Uniti» (sic!), quel raddoppio o poco meno delle unità  commerciali leggere (dalle 150 alle 250mila) in meno di quattro anni, erano numeri sparati a caso. Così come quei 20 miliardi di euro d’investimenti in Italia (i due terzi dell’intero volume mondiale del Gruppo Fiat!), senza uno straccio d’indicazione sulla loro provenienza, senza un piano finanziario serio e trasparente, erano un gigantesco buio gettato sul tavolo verde.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment