Così la Camusso fa asse con Landini opposizione più dura, imbarazzo nel Pd

by Sergio Segio | 18 Novembre 2012 8:34

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ROMA â€” La Cgil si sposta a sinistra, va all’opposizione politica e sociale. Prevale la linea della Fiom di Maurizio Landini. Il no all’accordo sulla produttività  ha importanti contenuti sindacali, ma è anche un fatto politico. Che imbarazza il Pd di Pier Luigi Bersani perché, sostengono gli uomini del segretario «si rischia così di portare acqua al partito del Monti bis». «La Cgil — aggiungono — è parte della nostra constituency, isolandosi favorisce chi pensa che faremo fatica a governare ». Imbarazzi che si ricavavano ieri pure dalle parole di Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, unico piddino a intervenire: «Siamo preoccupati del fatto che esistano opinioni divergenti tra le organizzazioni sindacali e che si possa arrivare nuovamente ad una firma separata».
Eppure prima di decidere la Cgil ha ben ponderato l’effetto politico. Nel Direttivo (il “parlamentino” confederale) di giovedì si sono fronteggiate due linee non solo sindacali: da una parte la tesi di chi (Landini in testa) ha sostenuto che non si potesse «regalare» un accordo sulla produttività  ad un governo come quello Monti ormai in scadenza e che non ha fatto nulla di importante per il lavoro; dall’altra chi (per esempio il segretario confederale Fabrizio Solari che ha condotto il negoziato con la Confindustria) ha messo in guardia dal rischio di affidare a tutti gli altri la gestione di un nuovo assetto contrattuale proprio mentre sta arrivando un altro governo,
probabilmente a trazione Pd. Il rischio, insomma, di una specie di autogol sindacale. Alla fine Susanna Camusso, che non aveva nemmeno escluso (a titolo personale) l’ipotesi di una firma per presa d’atto (lo fece Guglielmo Epifani sul patto per il Welfare con il governo Prodi nel 2007), si è schierata con la linea fiommina. Quella prevalente nel Direttivo, anche se non c’è stato un voto finale. Perché insieme ai metalmeccanici ci sono, tra gli altri, la Funzione pubblica, i chimici, gli alimentaristi e diverse strutture territoriali. Una maggioranza trasversale, sostanzialmente inedita visto che la minoranza congressuale della Cgil è rappresentata proprio dalla Fiom.
E soprattutto per la Fiom, la Cgil ha deciso di non firmare dopo aver chiesto al tavolo sulla produttività  (sede non proprio adeguata visto che c’erano tutte le associazioni imprenditoriali e non solo la Confindustria), di riportare i “suoi” metalmeccanici a trattare il rinnovo del contratto della categoria. La Fiom non partecipa perché non ha firmato l’ultimo contratto. Cisl e Uil non hanno accettato la richiesta della Cgil mentre il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, aveva promesso un incontro con Cgil e Fiom, da una parte, e Confindustria e Federmeccanica, dall’altra. Ora si andrà  inevitabilmente dritti all’accordo separato pure tra i metalmeccanici. Giovedì prossimo potrebbe cominciare il rush finale del negoziato.
Ma c’è anche un’altra valutazione politica che ha pesato nella scelta della Cgil: il timore di finire per sostenere nei fatti il progetto centrista di Bonanni e del ministro Corrado Passera. Con il sospetto, infatti, che Passera volesse l’intesa soprattutto per presentarla come un suo risultato politico. E l’accusa, sempre al ministro, di essere entrato nella partita mentre era in corso la trattativa tra Confindustria e sindacati, convocando le piccole imprese e indicando i contenuti di un accordo “accettabile” per il governo.
Tra sospetti e veleni, la Fiom si prepara al nuovo sciopero generale dei metalmeccanici già  proclamato per il 5 e 6 di dicembre. E a una serie di iniziative con il nuovo movimento degli studenti. La Fiom movimentista che punta a lanciare un’Opa, ormai non troppo ostile, sulla Cgil.

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