by Sergio Segio | 13 Novembre 2012 8:19
E dunque delle popolazioni «a valle»: infatti i ghiacciai intrappolano le precipitazioni durante la stagione delle piogge e rilasciano l’acqua durante la stagione secca, quando praticamente non piove. Quando i ghiacciai si restringono, inizialmente i fiumi si ingrossano, fino a raggiungere il «picco» dell’acqua. Ma questo è stato tanto tempo fa. Fra gli anni 1960 e 1980.
Il Perù ha la massa di ghiacciai tropicali più grande del mondo, localizzata soprattutto sulla Cordillera Blanca. Da là parte il fiume Santa che corre per 347 chilometri fino al deserto costiero (sul Pacifico). La valle del Santa, nota anche come Callejà³n de Huaylas, è un’area centrale se si vogliono osservare le conseguenze del caos climatico.
La regione si è riscaldata di 0,1 gradi ogni decennio dal 1970. I ghiacciai sopra i 5.400 metri – come quelli di Huascarà¡n, la cima più alta del paese, si ridurranno ma sopravviveranno: là le temperature rimarranno relativamente fredde. Se ne andranno quelli meno elevati che già hanno perso metà della loro massa.
I ricercatori studiano quanto velocemente il ghiaccio, la roccia e il lago Cuchillacocha si riscaldano durante il giorno e si raffreddano di notte. Correlando questi dati con le misurazioni dello spessore e dell’estensione del ghiaccio, fatte da satelliti e aeroplani, sperano di sviluppare modelli su quanto velocemente i ghiacciai si ritireranno sulla Cordillera Blanca.
Lo studio finora dà previsioni «miste». Il fiume Santa non si seccherà del tutto nella stagione secca. Ma la domanda di acqua da bere, per l’irrigazione e per la produzione elettrica porterà a conflitti su una risorsa in pericolo e sempre più costosa. Se la domanda continua a crescere, in pochi anni durante la stagione secca non ci sarà acqua della Cordigliera a raggiungere il mare. Ci si mettono anche il pascolo intensivo e l’estrazione di torba a diminuire la capacità di molte aree di stoccare acqua.
Gli abitanti della valle del Santa devono anche temere il fenomeno opposto alla riduzione della portata del loro fiume: le periodiche inondazioni dovute alla rottura delle dighe naturali, per un eccesso di ghiaccio scioltosi in acqua corrente. Dagli anni 1940 a oggi, nel Callejà³n de Huaylas sono morte così circa 25mila persone. La città di Huaraz e molte altre più piccole sono a rischio e potrebbero finire sepolte da frane.
Occorre seriamente pensare agli usi a valle. Anni fa una comunità di Cruz de Mayo ha accusato la Duke Energy, compagnia elettrica statunitense, di prelevare troppa acqua dal lago Parà³n per la sua diga. La competizione fra i diversi usi diventa anche più accanita a valle, dove il fiume scorre in uno stretto canyon dopo la diga verso il Pacifico. Proprio nel deserto sulla costa in pochi anni sono spuntate colture quali carciofi, frutti e canna da zucchero, soprattutto per l’esportazione. Il progetto irriguo Chavimochic che incanala acqua dal fiume Santa per irrigare 75.000 ettari, è destinato a raddoppiare di superficie.
Il governo del Perù ammette di non avere un vero piano per far fronte alle future carestie idriche del bacino Santa. Evoca la costruzione di piccole dighe. Ma la topografia non è delle migliori e la minaccia di terremoti è sempre presente.
Certo il caos climatico non è causato dai peruviani. Fra pochi giorni si svolgerà l’annuale conferenza Onu sul clima. Padrone di casa, il Qatar. L’emirato ha le emissioni pro capite di gas serra più elevate al mondo.
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