Caso Petraeus, indaga il Senato bufera su Giustizia ed Fbi
NEW YORK — Il Dipartimento di Giustizia e l’Fbi finiscono sotto inchiesta al Senato, dove perfino i democratici vogliono fare luce sulle dimissioni del generale David Petraeus dal vertice della Cia. Perché l’Fbi non ha informato prima la Casa Bianca, se è vera la versione secondo cui il presidente seppe tutto 24 ore dopo l’elezione? Barack Obama è costretto a cercarsi un nuovo direttore dell’intelligence nel momento peggiore: mentre fronteggia le crisi con Iran e Siria, nel corso di un’altra inchiesta parlamentare sulla tragedia di Bengasi, e mentre si prepara un rimpasto di tutte le maggiori cariche di governo: Dipartimento di Stato, Difesa, Tesoro e Giustizia.
Non ci sono solo i sospetti dell’opposizione, i veleni di Washington, le ricadute politiche. Continuano i misteri attorno al personaggio di Paula Broadwell, la biografa ed ex amante del generale, depositaria di “segreti di Stato”. Un giallo riguarda il presunto scoop che lei stessa aveva fatto sull’attacco al consolato Usa di Bengasi: nella sua versione il commando di Al Qaeda che uccise l’ambasciatore americano l’11 settembre scorso cercava dei terroristi catturati dalla Cia. La Cia smentisce ma il padre della Broadwell avverte: avete visto solo l’inizio, ben altre rivelazioni sono in arrivo, «sono parte di uno scandalo molto più grosso». Petraeus, attraverso un amico, scagiona la “terza donna”, Jill Kelley, colei da cui ebbe inizio l’indagine Fbi sulle email galeotte. Il generale fa sapere che con la Kelley non vi fu mai una relazione, era un’amica di famiglia e si frequentarono sempre in compagnia dei rispettivi coniugi.
Al centro dei sospetti rimane la tempistica. Nella versione ufficiale, a maggio la Kelley ricevette email minacciose, e si rivolse all’Fbi contro le molestie anonime. Gli agenti erano sulla pista di un cyber-reato, dunque. Risalirono alla Broadwell identificandola come l’autrice. Penetrando nel suo indirizzo Gmail trovarono la corrispondenza dai contenuti esplicitamente erotici col generale capo della Cia. Petraeus si era creato anche lui un indirizzo Gmail sotto pseudonimo. Sempre secondo la versione fornita da Fbi e Dipartimento di Giustizia, nessun reato venne imputato a Petraeus. Le sue dimissioni le avrebbe decise solo lui, «come un gesto di responsabilità » dopo essersi visto scoperto, ma l’adulterio non è sanzionato per chi lavora alla Cia. Dov’è che “scotta” la tempistica della versione ufficiale? Già a fine agosto il capo dell’Fbi, Robert Mueller, avvisò il ministro di Giustizia Eric Holder. Ma la notizia dell’inchiesta su Petraeus non salì subito “più in alto”. Obama fu informato solo il mercoledì 7 novembre, il giorno dopo le elezioni. In quanto al Congresso, solo per vie traverse (una soffiata dall’interno dell’Fbi) il capogruppo repubblicano alla Camera, Eric Cantor, e alcuni suoi colleghi avevano avuto sentore della vicenda a ottobre.
Un sospetto è che qualcuno nell’Amministrazione abbia nascosto tutto fino al 7 per non subire un contraccolpo negativo alle urne. Tanto più che Mitt Romney, i repubblicani al Congresso, e tutti i media dei destra come la Fox, stavano già cavalcando l’affaire Bengasi. La risposta del governo è netta: il ministro della Giustizia e il capo dell’Fbi hanno rispettato le regole. In particolare «il divieto di
svelare inchieste su potenziali reati criminali a chiunque, ivi compreso alla Casa Bianca e al Congresso, finché tali inchieste non sono giunte a conclusione». La beffa per i repubblicani: a confermare e rafforzare quella regola fu George Bush, con il suo ministro della Giustzia Michael Mukasey, nel 2007. Dunque l’attuale titolare della Giusizia, Holder, non avrebbe fatto altro che applicare regole convalidate dalle precedenti Amministrazioni repubblicane. Peraltro, Holder è uno dei ministri più osteggiati dalla destra, e si sa già che lascerà in occasione del rimpasto per il secondo mandato di Obama.
Malumore e sospetti non si limitano alla destra. A promuovere l’indagine del Senato sulle dimissioni di Petraeus è un pezzo da novanta del partito democratico, la senatrice Dianne Feinstein della California. La Feinstein presiede la commissione di vigilanza sui servizi segreti. È una veterana del Senato, e una potente figura nel partito democratico. «Dovevano avvisarci prima, è una storia che può avere conseguenze sulla sicurezza nazionale, dobbiamo vederci chiaro», ha dichiarato la Feinstein esprimendo anche dubbi sulla necessità delle dimissioni. Per il deputato repubblicano Peter King, che presiede la commissione sulla Homeland Security alla Camera, «sia l’Fbi che la Casa Bianca hanno molte spiegazioni da darci, non sono convinto dalla versione ufficiale, i conti non tornano». Cominciano subito le audizioni al Congresso sulla tragedia di Bengasi, dove la Cia è accusata di avere ignorato o sottovalutato le minacce di Al Qaeda e le richieste dell’ambasciatore Usa per una maggiore sicurezza. Per ora a testimoniare va l’ex numero due, temporaneamente promosso al vertice della Cia, Mike Morell, ma diversi parlamentari vogliono interrogare lo stesso Petraeus.
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