Buona giornata, America

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NEW YORK. Una mail di ringraziamento di Michelle Obama con link in cui leggi come puoi ancora fare qualcosa per aiutare «Barack» a vincere. Un’altra – dal vicedirettore per la campagna per la rielezione – in cui puoi scoprire quante persone che si chiamano Giulia hanno già  votato, nel caso avessi bisogno di un incentivo del genere per andare alle urne. MoveOn.org che ti vuole su un pullman diretto in Pennsylvania o in una banca telefonica per convincere i votanti indecisi degli swing states. Mitch Stewart, di BarackObama. com che ti invita alla cornetta, a 27 West Union Square, vicino a casa, per fare lo stesso.
Dalla Pennsylvania, la studentessa attivista Sandra Fluke (quella che Rush Limbaugh definì «puttana» perché caldeggiava gli anticoncezionali gratuiti del piano sanitario) avvisa che, se Obama perde, «il futuro ci scapperà  di mano»… Tutto questo, più un adesivo Obama/Biden per l’auto e un biglietto garantito quando si sorteggerà  il viaggio premio per l’inaugurazione, ti è arrivato nelle ultime 24ore se sei un newyorkese iscritto al Partito democratico e/o se hai mandato un assegno di 50 dollari alla campagna del presidente. Né Mitt Romney, né il partito repubblicano, né il Super PAC di Karl Rove in tutti questi mesi hanno mai tentato di raggiungermi. Probabilmente mi davano per persa da subito…
Ma il nervosismo è tale che, dalla California, una vecchia amica e figlia di un regista storico della sinistra che non sentivo da anni, mi chiede se ho bisogno di un consiglio su chi votare oggi – just in case….
Malgrado il guizzo post-Sandy
Il nerdissimo genio della statistica Nate Silver, nel suo blog per il New York Times, FiveThirtyEightForecast, ieri dava a Barack Obama l’86.3% di probabilità  di vincere. Anche le previsioni dei meno liberal RealClearPolitics.com e Politico.com danno Obama in testa nel collegio elettorale, con 303 voti plausibili contro i 235 di Romney. Ma, nonostante il guizzo post Sandy nei ratings del presidente, il nervosismo è palpabile, perché i margini sono effettivamente strettissimi. «A dispetto di tutti i miliardi che sono stati spesi per bombardare gli swing states di pubblicità  elettorale siamo nella stessa esatta situazione di giugno. Il paese è diviso a metà . Più pochissimi indecisi», commentava ironica sulla National Public Radio, ieri mattina, la veterana giornalista Cookie Roberts. «Ci siamo sempre aspettati che questa elezione sarebbe stata molto ravvicinata» è il ritornello dal quartiere generale obamiano su a Chicago.
Il Boss ora è in pista
Non sorprende quindi che le mail di appello a votare continuino a inondare la casella, né che – ormai con un filo di voce – Bill Clinton continui a zigzagare negli stati chiave a poche ore dal voto. O che Bruce Springsteen – che aveva giurato di non muoversi per le elezioni- si sia messo alacremente in pista. Aldilà  del destino politico e personale di Obama, proprio in virtù delle spaccatura del paese, questa è diventata un’elezione iper-determinante. A rischio, infatti, non è solo come dice Sandra Fluke «il futuro» ma anche una grande fetta di passato d’America. Lo evidenzia bene lo storico Douglas Brinkley (autore, tra gli altri, di libri su Carter, Ford, Kerouac, Reagan, Hunter Thompson e Walter Cronkite) in un lungo pezzo/intervista dedicato a Barack Obama da Rolling Stone. Obama, scrive Brinkley, reppresenta un nuovo tipo di uomo politico del 21esimo secolo: il firewall (il muro antifuoco) progressista, l’ultima barriera in difesa di una tradizione che data indietro non a Franklin Roosevelt ma addirittura al suo lontano cugino Teddy, il repubblicano che salvò il Gran Canyon dalle lobby dell’industria mineraria facendone un monumento nazionale. Il rooseveltiano New Deal, la Great Society di Johnson, ma anche la rete delle highway voluto da Eisenhower, la Environnmental Protection Agency di Nixon, la conquista dello spazio da Kennedy… come il frutto di una visione del ruolo del governo federale che è anche una visione del paese stesso è l’eredità  non solo simbolica che il firewall obamiano si è trovato, volente o nolente, a proteggere. In modo più spicciolo, oltre a quella riforma sanitaria che ormai porta il suo nome, la garanzia di un contratto sociale già  esilissimo, di poter respirare aria semipulita e di non veder appaltare la cosa pubblica come un’Olimpiade. Votatelo quindi non solo per cosa può ancora fare nei prossimi quattro anni, ma anche per ciò che può arginare dall’altra parte, era il messaggio (magari non proprio entusiasmante) di Brinkley.
Quei toni così apocalittici
In sync con i toni apocalittici che hanno dominato le ultime fasi della campagna elettorale, da entrambe le parti, anche l’uragano Sandy, a modo suo, ha ricordato la scelta elettorale 2012. «Meglio lasciar fare agli stati. Meglio ancora lasciar fare ai privati» aveva detto Mitt Romney parlando delle operazioni di soccorso nel caso di una catastrofe.
Perché chi immagina che il suo governo «da businessman di successo», accoppiato con il repellente darwinismo sociale teorizzato da Paul Ryan non sarebbe poi tanto diverso dall’attuale si sbaglia veramente di grosso.


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