Blitz contro il business dei “compro oro”

by Sergio Segio | 9 Novembre 2012 7:59

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ROMA — L’oro, a tonnellate, usciva dall’Italia sotto forma di gioielli e catenine. Arrivato in Svizzera veniva fuso e trasformato in lingotti. E così rientrava nella nostra penisola. L’argento invece veniva trasformato in barre direttamente in Italia. Il sistema collaudato di riciclaggio di somme di denaro sporco si nutriva e autoalimentava attraverso i negozi “Compro oro” e le oreficerie sparse in 11 regioni italiane. Attività  pulite, in apparenza, ma che in realtà  nascondevano scambi oro-contante, operazioni illegali non registrate, che gonfiavano i conti correnti di oltre cento persone, tutte indagate. Il business dei pregiudicati campani e di insospettabili orefici fiorentini era gigantesco: l’oro e l’argento acquistato illegalmente veniva trasformato in lingotti e barre da rivendere sul mercato, con migliaia di acquirenti pronti ad acquistarli.
Tutto questo è stato stroncato all’alba di ieri dalla Guardia di Finanza. Un’operazione così vasta contro i “Compro oro” non si era ancora vista. Simbolicamente ribattezzata “Fort Knox”, è stata condotta dalle fiamme gialle di Napoli e Arezzo. E i numeri dell’inchiesta sono impressionanti: 4 tonnellate e mezzo d’oro e 11mila kg. d’argento sequestrati soltanto nell’ultimo anno, per un controvalore di 183 milioni di euro. Indagate, a vario titolo, 118 persone: associazione per delinquere, ricettazione, riciclaggio
e commercio abusivo di oro. E poi: 259 perquisizioni, 500 conti bancari sequestrati.
La Finanza ha scoperto che l’organizzazione aveva una struttura piramidale: i vertici erano in Svizzera e i tentacoli, chiamati “capi-area” operavano nei distretti orafi di Arezzo, Marcianise e Valenza dove avveniva la raccolta di oro acquistato dagli “agenti intermediari” in contatto con una rete di negozi “compro oro” e operatori del settore, che erano la base della filiera dei traffici illegali di oro. Tutte le forniture dei metalli preziosi avvenivano in nero, al di fuori dei circuiti ufficiali, mediante banconote di grosso taglio, trasportate da insospettabili corrieri, usando macchine modificate per fare spazio ai doppifondi. Cinque interventi eseguiti negli ultimi mesi avevano permesso di sequestrare oltre 63 kg di oro in lamine e verghe, più di 20 kg di oreficeria usata, oltre 450 kg di argento in grani. Il centro di smistamento, la “Fort Knox” italiana, era una villa a Monte San Savino, Arezzo: protetta e vigilata, era stata acquistata due anni fa dalla gang attraverso una società  di prestanome
maltese.
L’operazione dei militari porta dunque sotto i riflettori quello che pare essere l’affare più remunerativo degli ultimi anni. Secondo un dossier di Anopo, Associazione nazionale operatori professionali oro, presentato ad aprile, i negozi “Compro oro” in Italia sono circa 28mila e continuano ad aumentare, a fronte di appena 380 operatori professionali regolarmente iscritti alla Banca d’Italia. Si stima che un negozio mediamente riceva e rivenda oro per 500mila euro all’anno. Con un giro d’affari totale che arriverebbe a sfiorare dunque i 14 miliardi di euro. Il bisogno di liquidità  delle famiglie in crisi, certamente, alimenta queste attività . Il prezzo di vendita dell’oro salito in soli 6 mesi da 30 a 40 euro al grammo le rende ancor più interessanti per la criminalità , soprattutto quella mafiosa.
Secondo l’Anopo, il 20 per cento dei “Compro oro” sarebbero infiltrati dalle organizzazioni mafiose, addirittura il 60 per cento sarebbe coinvolto operazioni illegali di riciclaggio ed evasione fiscale. La polizia amministrativa, più cauta, fa scendere la stima al 30-40 per cento. Ma, al di là  delle cifre, che ci sia un problema di tracciabilità  dei flussi d’oro e di trasparenza fiscale lo ha ammesso anche il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri.
Il paradosso dei “Compro oro” è che anche un nullatenente, col conto in banca a zero e senza esperienza nel settore, può aprirne uno in appena 45 giorni. La licenza viene concessa dalla Questura in base a due soli requisiti: che il richiedente abbia la fedina penale immacolata e che il negozio dove eserciterà  e dove pagherà  in contanti gioielli e quant’altro gli sarà  portato sia un luogo “visibile e riconoscibile”. Quindi alla ’ndrangheta basta un prestanome qualsiasi per aprire una “lavanderia”. E una carta di identità  di un malcapitato per registrare centinaia di operazioni fittizie.

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