by Sergio Segio | 29 Novembre 2012 7:39
ROMA — Bersani prega il vecchio parroco di Bettola di accettare le sue scuse «da lassù» per l’ormai celebre sciopero dei chierichetti che tanto lo fece soffrire. E Renzi, quando è il momento di chiedere perdono, parla di quel giovane medico che a 29 anni è fuggito all’estero per non dover essere, per sempre, «il fratello del sindaco di Firenze».
Due visioni del mondo e del Pd. Matteo Renzi si è preparato al duello finale ascoltando i consigli di Giuliano Da Empoli. Pier Luigi Bersani invece, incassato l’endorsement di Vendola, è stato zitto tutto il giorno. E a sera ha postato su Twitter una foto che lo ritrae nel suo studio mentre si «sganascia» dal ridere con lo storico Miguel Gotor. Due strategie che più diverse non si può. La bonaccia del leader e la burrasca del sindaco. Su Rai Uno va in scena l’unico faccia a faccia, che Bersani ha concesso pur essendo in vantaggio. Conduce Monica Maggioni, parte Renzi e offre «100 euro netti al mese a chi ne guadagna meno di 2.000», ribatte Bersani e dice che agli italiani offrirà la verità : «Non prometto 20 miliardi l’anno prossimo, lo dico subito». La sua arma segreta? Altre lenzuolate, perché «qui si è perso anche il lenzuolo». Il segretario annuncia lotta dura all’evasione e «una Maastricht della fedeltà fiscale» e il sindaco ringrazia per l’assist: «In questi anni si è parlato tanto di evasione, ma prendendosela col pesce piccolo e non col pesce grosso». La carta di Renzi, adrenalinico, è il tormentone su Equitalia «forte coi deboli», accusa che costringe Bersani sulla difensiva: «Non l’abbiam mica inventata noi…». Lo sfidante va all’attacco, maltratta la socialdemocrazia, punta a smontare l’immagine dell’ex ministro: «Pier Luigi, sei stato al governo 2.547 giorni!». Il «vecchio» e il giovane, il futuro e il passato, «lo zio prudente contro il figlio coraggioso». Il sindaco la mette così, frasi a effetto e provocazioni che Bersani smorza col sorriso (sull’accordo con la Svizzera cita il tedesco Gabriel e dice: «C’è chi preferisce avere un passerotto in mano che un tacchino sul tetto»). E quando Matteo dice che «a parte Fede e Santanché, Berlusconi ha deluso tutti» ride persino Pier Luigi. Ma poi si riparte coi fendenti. La politica industriale? I governi di centrosinistra «non sono stati all’altezza» lamenta Renzi e punge sull’Ilva, dove «si è lasciato fare alla famiglia Riva quel che le pareva». E Bersani: «Nessuno è perfetto, ma non mettiamo insieme gli ultimi 20 anni». Dimezzare il finanziamento ai partiti (come Bersani propone) a Renzi non basta, lui vitalizi e soldi pubblici vuole abolirli, mentre il segretario si accontenta di «studiare un tetto». C’è un sogno che li mette d’accordo: consegnare ai figli gli Stati Uniti d’Europa. Ma sugli esteri è battaglia. Bersani, che non ha voluto ascoltare il consiglio del suo staff di «guardare la telecamera», spinge perché l’Italia voti all’Onu il riconoscimento della Palestina. Il sindaco non è d’accordo: perché anche altri Paesi sono «titubanti», e perché ritiene che il vero problema sia l’Iran. La tensione sale, Renzi promette una legge sul conflitto di interessi nei primi 100 giorni: «Non averla fatta è la dimostrazione più drammatica del fatto che abbiamo fallito». E quando sulle pensioni critica l’abolizione dello «scalone» (Prodi 2007), Bersani fa il prof e bacchetta l’allievo: «Bisogna che tu approfondisca un po’ questo tema». Matteo incassa e restituisce il colpo sul dimezzamento degli F35: «Cerchiamo di non prendere un voto facile. Proprio te, segretario…». Il botta e risposta più serrato è sui fondi alla politica. No al finanziamento pubblico e no ai vitalizi incalza Renzi, e critica la risposta Sposetti sulle fondazioni. Bersani ha pronta la battuta: «Dove hanno inventato la democrazia, da Clistene a Pericle, hanno preteso il finanziamento pubblico per fare la differenza con i tiranni». Ma l’ultima parola tocca a Renzi: «Passare da Pericle a Fiorito mi pare azzardato…». E se Bersani conferma l’apertura ai moderati e giura che non rifarà l’Unione, il sindaco azzarda: un’alleanza con Casini «profuma di inciucio». Quando le luci si spengono è il sindaco a offrire la mano a Bersani. Il segretario si dice soddisfatto. Ma Renzi lo è di più: «Ho vinto 3 a 1, ma non ho stravinto». E Cicchitto, a distanza, sospira: «Le primarie Pdl, che occasione persa!».
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