“Basta Ong, vogliono comandarci Haiti dobbiamo ricostruirla noi”
ROMA — Il codazzo di guardie del corpo è più quello della popstar che di un politico. Del suo passato come Sweet Mickey, il più noto cantante haitiano di compas music, Michel Martelly ha mantenuto anche il fare ammiccante e l’abitudine di accompagnare con la gestualità i discorsi più appassionati. Prima di diventare il presidente di Haiti, però, Martelly oltre a cantare ha fatto l’imprenditore ed è proprio il suo successo di uomo d’affari che ora mette sul piatto per una sfida enorme, fare uscire dalla miseria Haiti, risollevarla dopo che il terremoto del gennaio 2010 l’ha resa ancora più povera di prima. E infatti, comincia l’intervista come inizierebbe un concerto, alza la voce e si guarda intorno per vedere l’effetto sul pubblico: «Basta con la carità , non vogliamo più che Haiti sia un affare soltanto per la cooperazione internazionale » è il suo avvio.
Presidente, è in Italia e in Europa per promuovere gli investimenti ad Haiti con il nuovo slogan «siamo aperti per affari». Davvero il Paese più povero del continente americano può essere allettante per un imprenditore straniero?
«È vero, in questo momento c’è ancora tanto bisogno di aiuto, nel nostro Paese il disordine è istituzionalizzato, ma le cose stanno cambiando e vogliamo essere noi a dire alle Ong quello che ci serve e che devono fare. Non dobbiamo soltanto ricevere, abbiamo anche molto da dare e chi come Digicel ha investito ad Haiti non si è pentito».
Il settore delle telecomunicazioni è tra quelli in maggiore crescita nei Caraibi e nel Centroamerica, ma che altro può offrire Haiti?
«Ci sono scuole da costruire, abbiamo bisogno di infrastrutture, strade, porti, tutto questo può creare posti di lavoro. Sono in Italia per questo, ho parlato con papa Benedetto XVI e mi ha assicurato che ricostruirà le chiese, saranno impiegate nelle opere migliaia di persone».
Il terremoto ha spazzato via un’intera classe dirigente. Avete le risorse umane per sostenere uno sforzo imprenditoriale?
«Nel mio programma di governo ho dato la priorità alla persona. Non potremo ricostruire nulla se prima di tutto non aiuteremo la gente a studiare e ritrovare dei valori in cui credere. Dobbiamo ricostruire le nostre istituzioni e io (si punta più volte il dito sul petto mentre parla, ndr) sono quello che lo sta facendo. Dopo il terremoto non c’erano più tribunali, io ho creato nuovi giudici».
Eppure l’opposizione scende in piazza quasi ogni giorno e da quando è stato eletto presidente il primo ministro è cambiato quattro volte. Non crede che l’instabilità politica scoraggi gli imprenditori?
«Mi osteggiano perché non sono un politico, perché per la prima volta non voglio dividere la popolazione in ricchi e poveri, ma combattere l’ignoranza. Il mio programma ha cinque punti: istruzione, ambiente, occupazione, stato di diritto e risorse energetiche. Per distruggere un Paese basta un attimo, ma per ricostruirlo ci vorranno almeno venti anni. Io so come fare, ho un piano chiaro. E a chi dice che Haiti è insicura, rispondo che è una bugia, nei Caraibi siamo il Paese con il più alto tasso di sicurezza».
È per questo che punta a ricostruire un esercito prima di rifondare una forza di polizia?
«Abbiamo bisogno di protezione dei nostri confini e dei nostri interessi economici. Per ora abbiamo ancora bisogno della missione Onu Minustah, è pronto un calendario di ritiro, non vogliamo ancora danni e incidenti in cui muore la nostra gente».
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