Balena gialla il ritorno
Per oltre sessant’anni, sotto la benevola protezione e la supervisione dell’alleato padrone Usa, la Balena Gialla aveva governato per conto dei vecchi e nuovi padroni del vapore. Quelli che prima avevano spinto il Paese in guerra e poi, dopo essere stati arrestati e perdonati, essersi pentiti e convertiti,avevano continuato ad arricchirsi gestendo la ricostruzione di quanto avevano contribuito a distruggere. C’era una volta e ci sarà ancora. Entro Natale. Già , perché nonostante il goffo – per non dire disonesto – tentativo di trasformare le elezioni in un referendum sul nucleare (che in Giappone non si può fare perché la Costituzione non lo prevede) fatto ieri sera dall’anguillone Noda (è lui che si autodefinì tale, all’indomani della sua nomina a premier, per segnalare la sua capacità di adattarsi) l’esperienza al governo del Partito Democratico, e del cosiddetto “ulivo a mandorla” di cui si era fatto, dopo aver copiato perfino il Mattarellum, entusiasta interprete, si avvia, come già da tempo avvenuto per l’originale italiano, ad una disastrosa conclusione. «La crisi del paese è tale che non la si poteva più affrontare con questa risicata maggioranza – ha spiegato il premier Noda ai giornalisti, senza però spiegare come e perché, nel giro di tre anni, il Partito Democratico sia riuscito a perdere per strada metà dei suoi deputati, gli ultimi nove ieri mattina, poco prima dell’annuncio dello scioglimento della Camera, salutato con salti di gioia e possenti «banzai» dai banchi dell’opposizione. Certo qualche giustificazione la si può trovare: l’ingenuità dolosa del primo premier democratico, Yukio Hatoyama, costretto a rinunciare alla “liberazione” (parziale) di Okinawa dalle sue pesantissime e oramai insopportabili servitù militari dopo averne fatto una delle priorità assoluta della campagna elettorale, il costante e compatto sabotaggio operato dalla burocrazia, consapevole che il successo della politica avrebbe provocato la fine del suo enorme potere ed infine la tripla, terribile catastrofe del marzo 2011, con il devastate terremoto, lo tsunami e l’incidente nucleare di Fukushima. Una catastrofe che ha costretto Naoto Kan, il premier succeduto ad Hatoyama e forse l’unico che avrebbe avuto la capacità di cambiare il corso delle cose, a concentrarsi sulle varie emergenze, prima di essere anche lui costretto a dimettersi in cambio del passaggio di alcune leggi importanti, tra le quali quella che istituisce il sistema degli incentivi per la produzione di energia alternativa. Curioso che, proprio mentre Pechino si è appena “organizzata” per i prossimi (almeno) dieci anni, il Giappone torni a votare per la quarta volta in dieci anni. Bruciando ben sette premier e undici governi, tre negli ultimi due anni e mezzo. Curioso e umiliante, per un paese che dopo aver subito lo storico sorpasso si trova oggi a dover gestire senza neanche troppa convinzione, se non fosse per poche centinaia di rumorosi revanchisti che soffiano sul fuoco, una disputa territoriale che rischia di esplodere giorno dopo giorno. Difficile fare previsioni. L’antipolitica in Giappone si è sempre espressa con l’astensionismo e non vi è alcun segnale che, di fronte all’attuale, desolante offerta, i cittadini si precipitino alle urne. Non solo. Fallito l’obiettivo, da tutti auspicato a parole e da nessuno realmente voluto, di creare anche in Giappone un sistema bipolare è molto probabile che le prossime elezioni producano un terzo polo, rappresentato dal nuovo partito popolare di Ichiro Ozawa, accreditato oramai di circa il 10%, esattamente come i democratici che tre anni fa, sotto la sua guida, avevano superato il 30%. Senza calcolare l’incognita del Partito del Sole, il nuovo polo di attrazione dell’estrema destra fondato dall’ex governatore xenofobo di Tokyo Shintaro Ishihara ma al quale potrebbe aderire il giovane “rottamatore” Toru Hashimoto, sindaco di Osaka. E senza dimenticare che anche il Komei, braccio politico della Soka Gakkai, farà di tutto per ritornare al potere, e difatti non ha ancora fatto sapere con chi intende poi allearsi. Decideranno all’ultimo momento, come al solito.
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