Auto giapponesi, la paura dell’Europa
BRUXELLES —Via libera europeo ai negoziati fra Ue e Giappone per l’avvio dell’accordo commerciale sul libero scambio, fra i due blocchi che rappresentano insieme un terzo del Pil mondiale. L’intesa, chiesta in particolar modo da Tokyo, riguarderà fra gli altri i prodotti agro-alimentari, meccanici, elettronici. Superati i “no” iniziali di principio, si prevedono ora anni di trattativa, anche per le grandi differenze economiche, storiche, culturali, fra le due realtà . Ma soprattutto, c’è già allarme e tempesta intorno a un abisso che si stende fra un paio di cifre: se questo accordo si farà e si farà così, tuona l’Associazione dei produttori automobilistici europei (Acea), l’Europa perderà fra 35 e 73 mila posti di lavoro perché 443 mila saranno le auto giapponesi importate nella Ue per il 2020, e appena 7.800 le vetture delle nostre marche esportate sui mercati del Sol Levante. Non solo, ci sono voci ancor più pessimistiche che arrivano dagli Usa: i posti di lavoro a rischio nel settore auto della Ue sono molti di più, circa 12 milioni, azzarda la Ford.
C’è dunque una sproporzione disastrosa fra Europa e Giappone, dicono ancora i contestatori, e questo è un bis del patto fra Bruxelles e la Corea del Sud tanto deprecato dall’amministratore delegato della Fiat Chrysler Sergio Marchionne e da altri manager del settore, un nuovo colpo alla Francia della Peugeot, o all’Italia della Fiat. Tutto, perché la trattativa partirebbe già squilibrata. Da un lato, la Ue offre infatti di abolire i dazi di circa il 10% imposti sulle auto e i prodotti elettronici in arrivo da Tokyo, e questa misura sarebbe rapidissima, effettuabile con una semplice firma ministeriale; dall’altro, la stessa Tokyo promette di abolire le molte «barriere non tariffarie» sulle marche di auto europee (per esempio, i complicati requisiti di fabbricazione, o gli ancor più complicati permessi per la localizzazione delle officine di riparazione); ma quest’ultima promessa, a differenza di quell’altra lanciata da Bruxelles, richiederebbe tempi lunghi e svariate giravolte burocratiche.
Secondo l’Acea, le facilitazioni daziarie regalerebbero ai giapponesi circa 1.500 euro di “sconto” su ogni vettura. La Commissione, che ora ha avuto dal Consiglio dei ministri Ue il compito di avviare i negoziati, e che secondo i critici è bersaglio di «pesanti pressioni», sostiene il contrario: il patto di libero scambio con il Giappone regalerebbe all’economia europea un balzo di oltre il 32% nell’export verso quel Paese, e una crescita del Pil pari allo 0,8%. Bruxelles assicura anche che, se il Giappone non abolirà in fretta le sue barriere non tariffarie, i dazi europei all’import resteranno, e i negoziati potranno essere interrotti fra un anno.
Quanto all’atteggiamento dei singoli governi europei, tanto per cambiare procedono in ordine sparso: il Nord “rigorista” di Olanda, Svezia e Finlandia è favorevole al patto così come la Gran Bretagna; il Sud di Francia, Italia o Spagna è contrario. La Germania, al volante della sua solidissima Volkswagen, sta per ora a guardare.
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