Arrestato per abusi il cappellano di San Vittore

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MILANO — Sigarette, shampoo, dentifricio. Don Alberto Barin, 51 anni, da quattro cappellano del carcere di San Vittore, li metteva in bella evidenza in una vetrinetta dietro la scrivania nel suo ufficio. Per ottenerli gratuitamente, i detenuti più disagiati, tutti stranieri, in carcere per reati banali come il furto di un telefonino, dovevano essere «disponibili» con lui. Assecondare le sue richieste sessuali. «Sono omosessuale», era l’incipit con cui li accoglieva in ufficio. E poi partivano «gesti repentini» inequivocabili, immortalati dalle telecamere che la squadra Mobile di Milano e gli stessi agenti della polizia penitenziaria avevano piazzato nell’ufficio e nell’appartamento del prete.
Da ieri don Barin si ritrova sempre in carcere — a Bollate — , ma questa volta da detenuto. Le accuse di violenza sessuale e concussione sono contenute in un’ordinanza di 36 pagine firmate dal gip Enrico Manzi. Ad alzare il velo su un’usanza che andava avanti da quando era stato chiamato a rivestire la carica di cappellano, sono state nel luglio scorso le parole di un detenuto africano di 22 anni. Vittima di un’altra terribile violenza sessuale, questa volta consumata da un compagno di cella, era stato ricoverato in ospedale per le terribili conseguenze di quel gesto. «Non è stato l’unico che ha abusato di me», ha confessato in lacrime ai magistrati Daniela Cento e Lucia Minutella. Poi i racconti degli «scambi» che proponeva don Barin. Pacchetti di sigarette, un nuovo spazzolino gratis — quello che dietro le sbarre si chiama «spesino» e che può rivelarsi vitale per una sopravvivenza decente — , in cambio di un po’ di intimità . L’accusa parla di «toccamenti», richiesti dal religioso che è accusato di «aver utilizzato la sua posizione — scrive il gip — , le sue funzioni, i suoi pur limitati poteri e la sua quotidiana vicinanza ai detenuti per soddisfare quasi ossessivamente le sue pulsioni sessuali ».
Non c’è solo la drammatica confessione del ventiduenne africano. Le telecamere nascoste dagli investigatori hanno immortalato altri cinque detenuti che subivano lo stesso trattamento. Quattro, ascoltati con grande cautela dai magistrati, hanno confermato gli abusi: hanno tutti un’età  compresa tra i 22 e i 28 anni, sono stranieri e sono finiti in cella per reati comuni. Un quinto, dietro le sbarre per omicidio, anche di fronte all’evidenza, ai fotogrammi espliciti, ha invece respinto l’»onta», la macchia che in carcere ti può segnare per sempre. Secondo quanto è finito nei verbali dell’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Pietro Forno, a volte era don Barin a chiedere che gli
agenti penitenziari gli portassero i detenuti. A volte erano invece loro, probabilmente quando avevano finito le scorte, a chiedere un incontro. In un caso, uno dei sei detenuti molestati, appena scarcerato è stato prelevato dallo stesso cappellano, che lo ha ospitato nel suo appartamento, a fianco del carcere di piazza Filangieri.
Scioccata la curia di Milano, che in una nota esprime il proprio «sconcerto e il dolore per l’arresto di don Alberto e per i fatti che al cappellano della Casa circondariale di San Vittore sono contestati». La curia manifesta «fin da ora la massima fiducia nel lavoro degli inquirenti e la disponibilità  alla collaborazione per le indagini».
Il segretario del sindacato degli agenti penitenziari Sappe si dice invece «sconvolto». «Perché — spiega Donato Capece — , in diciassette anni di esercizio spirituale a San Vittore di don Barin non risultano essere mai pervenute segnalazioni rispetto alle gravi accuse formulate: anzi, è stato sempre molto disponibile con detenuti ed agenti, tanto da essersi anche impegnato in prima persona nell’organizzare corsi prematrimoniale e corsi per il conferimento della cresima a tanti poliziotti».


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