Appalti, prima condanna per il Sistema Balducci
ROMA — Il primo degli otto tronconi di indagine in cui è stato spacchettato e troppo presto dimenticato il processo al Sistema “gelatinoso” Anemone-Balducci, alla rete di boiardi, costruttori, funzionari pubblici, magistrati, uomini degli apparati, che ha inquinato e manomesso fino al 2009 i Grandi Appalti (dal G8, all’Unità di Italia, dalla ricostruzione dell’Aquila, ai Grandi Eventi gestiti dalla Protezione Civile di Bertolaso) approda a una sentenza di primo grado. Ieri, due anni e 8 mesi dopo gli arresti del Ros dei carabinieri che, nel febbraio 2010, scoperchiarono il verminaio, il Tribunale di Roma, accogliendo solo in parte le richieste dei pm Ilaria Calò e Roberto Felici, ha condannato per corruzione aggravata e atti contrari ai doveri di ufficio, l’ex Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Angelo Balducci, e l’ex Provveditore alle opere pubbliche della Toscana, Fabio De Santis, a 3 anni e 8 mesi di reclusione (l’accusa ne aveva chiesti 5). E, con loro, per la sola corruzione, i costruttori Francesco Maria De Vito Piscicelli (2 anni e 8 mesi) e Riccardo Fusi (2 anni). Tutti interdetti per 5 anni dai pubblici uffici, inibiti a contrarre con la pubblica amministrazione fino a fine pena e tutti responsabili della tangente (in parte promessa in denaro, in parte pagata con un orologio da 5 mila euro, e in parte saldata con la nomina pilotata di De Santis al provveditorato delle opere pubbliche della Toscana) che avrebbe dovuto consegnare l’appalto per la Scuola Marescialli dell’Arma di Firenze alla “Btp” di Riccardo Fusi, estromettendo la concorrente Astaldi che pure si era aggiudicata la commessa.
La sentenza è il primo e unico colpo battuto dalla giustizia penale in una vicenda che, per il resto, dopo essere stata squartata per competenza territoriale in quattro diversi Tribunali (Roma, Firenze, Perugia, l’Aquila), è, ad oggi, già morta in alcuni dei suoi capitoli cruciali. Se qualcuno infatti ricorda cosa fu la vicenda dell’accusa di corruzione all’ex ministro Pietro Lunardi e al cardinale Crescenzio Pepe, lo scambio di influenze che, sulle due sponde del Tevere, pilotò la vendita di un immobile di Propaganda Fide all’ex ministro in cambio di generosi contributi di Stato per la ristrutturazione della Pinacoteca della Congregazione in piazza di Spagna, deve sapere che quella faccenda è finita. È ormai lettera morta. Il Tribunale dei ministri di Perugia, dove Lunardi era stato rinviato a giudizio, dopo uno sterile quanto interminabile braccio di ferro con la giunta per le autorizzazioni della Camera e una sentenza di Cassazione che, nel dicembre 2011, ne aveva censurato le mosse, ha dichiarato prescritto il reato contestato a Lunardi. Uscito dunque per sempre dalla faccenda. Di fatto, insieme a Sepe, per il quale il Tribunale dei ministri si era dichiarato non competente e sulla cui sorte nulla è più stato deciso dalla Procura di Perugia. La quale, a questo punto, non potrà che prendere atto che anche per lui, come per Lunardi, la corruzione sarebbe comunque prescritta.
Non è andata molto diversamente all’Aquila, dove Denis Verdini, ex coordinatore nazionale Pdl e il costruttore Fusi erano accusati di tentato abuso di ufficio per le pressioni indebite esercitate attraverso Gianni Letta sul governatore Chiodi e su Guido Bertolaso per inserire la Btp negli appalti della ricostruzione. Per entrambi,
il gup dell’Aquila ha pronunciato una sentenza di non luogo a procedere sull’assunto che quel traffico di influenze, nell’anno 2009, non configurasse alcun reato (la Procura è ricorsa in Cassazione).
E dunque? Dove il lavoro di accertamento delle responsabilità non si è ancora spento, il lavoro dei Tribunali ha il passo del gambero. A Perugia, dove è a dibattimento di primo grado il filone di indagine principale (22 gli imputati di associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta, tra cui Diego Anemone, lo stesso Balducci e Bertolaso), la prima udienza, in aprile, è saltata per un difetto di notifica. E la seconda, nelle scorse settimane, ha avuto identica sorte. Nuovo rinvio e una certezza. Che di questo passo, con quel numero di imputati, la prescrizione arriverà prima che il processo approdi in Cassazione.
Restano Firenze (dove si è appena chiusa l’indagine preliminare sulle linee di credito facili ai costruttori concesse dal Credito cooperativo fiorentino di Verdini. 50 gli indagati) e Roma, certo. Dove una parte della posizione di don Evaldo Biasini, don bancomat, quella relativa al riciclaggio, è stata inghiottita nel fascicolo sullo Ior (alla seconda proroga di indagine) e dove Scajola è a giudizio in primo grado per l’attico di via del Fagutale (finanziamento illecito). Ma dove le rivelazioni di Piscicelli sul milione di tangenti distribuite a funzionari pubblici (datate ormai quasi due anni e ribadite di recente in un’intervista a Repubblica) non hanno sin qui trovato altro spazio che un paio di interrogatori in un fascicolo stralcio ancora in fase di indagine preliminare.
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