Ambrosoli snobba le primarie e il Pd si dissocia da se stesso

by Sergio Segio | 10 Novembre 2012 8:53

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MILANO. A pochi giorni dalla caduta dell’impero di Roberto Formigoni, il bollettino non lascia speranze. Al centrosinistra. Non è che sia una notizia freschissima, ma il Pd lombardo ormai è un partito morto. Dal punto di vista clinico, la spina verrà  staccata lunedì prossimo quando, dopo un consulto drammatico – in totale assenza di attività  cerebrale – i «vertici» (le virgolette sono obbligatorie) decideranno di abolire le primarie regionali. E dire che il segretario del partito, Pierluigi Bersani, ieri a passeggio nella grande Milano questa sconosciuta, aveva bofonchiato con qualche imbarazzo che loro, il Pd, sono abituati a mangiare «pane e primarie». Sarà . Ma qui in Lombardia, o si mangia sta’ minestra o si salta la finestra. E tanti saluti ai cittadini.
Il rispettabilissimo candidato unico, Umberto Ambrosoli, uomo coccolato dall’establishment che conta – dai salotti «bene» di Milano fino a Giuliano Pisapia – finalmente ha deciso di candidarsi con una sua lista civica. Lo fa per il bene di tutti i lombardi, per allargare gli orizzonti (anche all’Udc), ma non gradisce l’investitura popolare, e nemmeno il confronto con gli altri candidati che già  si sono presentati alle primarie. Curioso. Non tanto perché potrebbe non bastare essere figlio di un galantuomo assassinato dalla mafia per convincere e vincere le elezioni, ma perché ancora nessuno sa come la pensa su una serie di temi che magari sono di qualche interesse per i cittadini chiamati a votarlo. Tanto per sapere. Al Pd Umberto Ambrosoli ha chiesto carta bianca e mani libere, e adesso la segreteria non sa che pesci pigliare, visto che da sempre la parte più sveglia del partito tesse l’elogio delle primarie nel disperato tentativo di tamponare l’emorragia di voti degli elettori, disgustati o sedotti dal Movimento 5 Stelle.
Compagni dietrofront? Abbiamo scherzato? Forse sì, e non perché questo è il candidato della «riscossa civica di cui abbiamo bisogno» – come leggeremo nei comunicati grondanti ipocrisia – ma semplicemente perché l’avvocato Ambrosoli non vuole discutere con nessuno. Viene da dire giustamente, visto che davanti alle croniche debolezze del Pd, e della sinistra tutta, chiunque si sente in diritto di comportarsi come l’Unto del Signore, anche se milioni di elettori lombardi, dopo 17 anni di formigonismo spinto, meritavano una partecipazione più coinvolgente.
Il dilemma sta lacerando il partito di Bersani, e facendo imbestialire gli altri candidati alle primarie. Pippo Civati (Pd) anche questa volta rimane fedele al suo ruolo di grillo parlante. Prova a convincere la sua segreteria, twitta, ma non lo ascoltano mai, ci riprova, ancora niente, e viene da pensare che abbia sbagliato partito. Chiede ad Ambrosoli di partecipare alle primarie. «Così si affermerebbe come candidato di popolo e non solo delle élites, non farlo sarebbe un errore, e un peccato, metterebbe in difficoltà  molte coscienze democratiche, a cominciare dalla mia». Ma gli appelli più pressanti arrivano dagli altri candidati alle primarie, anche se Giulio Cavalli (Sel), dopo diversi incartamenti e qualche confusione, ha quasi gettato la spugna. Stima Ambrosoli, è suo amico, punterebbe su di lui, ma lo invita ugualmente a farsi scegliere dai cittadini. Più netta la posizione di Andrea Di Stefano, direttore di Valori e candidato più a sinistra – se è possibile scomodare definizioni un po’ fuori moda. «E’ incredibile – spiega – che un campione delle regole come Ambrosoli rinunci alle primarie e poi, diciamolo, non è che in Lombardia si possa parlare solo di legalità . Gli elettori vogliono sentir parlare anche di lavoro, di reddito minimo, di economia, di sostenibilità  ambientale… Rinunciare alle primarie, dopo l’esperienza vincente di Pisapia, è una cosa incredibile, significa spingere i cittadini a non votare o a scegliere, legittimamente, il candidato del M5S. Questo è un errore imperdonabile». Di Stefano insiste, e oggi alle 15 si presenta ufficialmente alla Cascina Cuccagna. Alessandra Kustermann, ginecologa alla Mangiagalli, deve mordersi la lingua per misurare le parole (ieri sera, fuori programma, ha anche preso di petto Pierluigi Bersani a margine di un convegno). Insieme al candidato «imposto dall’alto» – così ormai lo chiamano in tanti – è lei il competitor più forte e tenace. «Ambrosoli non può affermare che la sua candidatura è all’insegna della partecipazione e poi sottrarsi al confronto delle primarie». I più fiduciosi ci credono ancora, lunedì sera toccherà  al Pd esalare l’ultima parola.

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