Agora 2.0. La sovranità  (online) appartiene al popolo

by Sergio Segio | 4 Novembre 2012 8:32

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Il primo sono i soldi. Lo scorso 8 agosto questa piccola startup campana ha chiuso uno dei più importanti round di finanziamento che si ricordi in Italia: un milione e 250mila euro, in gran parte versati dal fondo Vertis, ma piccole quote le hanno impegnate anche alcuni dei nomi noti del Web nostrano. Il secondo motivo è il fondatore. Si chiama Roberto Esposito, ha 27 anni e la metà  della sua vita l’ha passata a collezionare record su Internet: a tredici ha fondato crashdown.it, un portale sulle serie tv; a quattordici era già  una firma di Hacker Journal; prima dei diciotto aveva al suo attivo un corto demenziale e un paio di album musicali autoprodotti “molto goliardici”. Quando in Parlamento è arrivata in discussione la legge antibavaglio, in una notte ha trasformato crashdown.it in un blog di resistenza umana «che faceva 200mila utenti unici al giorno, infatti l’ho venduto per ventimila euro».
È stato allora che Esposito ha capito che quello che manca al Web è uno strumento che consenta di costruire la partecipazione per far emergere le buone idee. De Revolutione appunto. Una piattaforma dove presentare la propria causa, cercare sostenitori, raccogliere finanziamenti, fare comizi dal vivo e tutto quello che vi viene in mente. Solo che per farsi prendere sul serio dagli investitori gli serviva una dimostrazione di forza: entrare nel Guinness dei primati. Prese di mira il record mondiale di commenti a un singolo post su Facebook: erano 290mila. In due mesi e mezzo «io, il piccolo blogger nato a Vallo della Lucania, sono arrivato a 560mila!». Perché? «Per far vedere di cosa ero capace senza un soldo e poter dire: se investite in DeRev vedrete cosa farò».
Ora ci siamo, DeRev è in rampa di lancio. In settimana debutta. E non è un fiore isolato ma fa parte di quel larghissimo movimento mondiale che cerca una terza via fra la democrazia rappresentativa, che mostra qualche segno di affaticamento, e la democrazia diretta, che non ha mai funzionato. È la democrazia parte-
cipativa. Vuol dire che in rete ci si informa, si discute, si partecipa. In modo sistematico affinché le decisioni finali siano migliori. Condivise, informate, trasparenti. Il più clamoroso successo su questo terreno è di qualche giorno fa. Il 21 ottobre gli islandesi hanno approvato la prima costituzione in crowdsourcing, ovvero redatta con il contributo di tutta la popolazione attraverso i social network: Facebook per discutere, Twitter per informarsi. È andata così: il Parlamento, per recuperare credibilità  dopo la bancarotta finanziaria del gennaio 2009, ha nominato venticinque cittadini che per quasi due anni hanno ricevuto sedicimila proposte e commenti (gli islandesi sono 300mila). Ci sono state quindici versioni e alla fine il testo è stato sottoposto a referendum. L’approvazione adesso spetta al Parlamento, ma dopo un processo simile è escluso un colpo di scena. La prima “wiki-costituzione” al mondo inizia così: «Noi, popolo d’Islanda, vogliamo creare una società  giusta con uguali opportunità  per tutti».
Se l’Islanda è la best practice, esperimenti di questo tipo sono sempre più frequenti. I precursori forse sono stati i brasiliani di Porto Alegre che sette anni fa hanno dato vita al cosiddetto “bilancio partecipativo”, un sistema attraverso il quale i cittadini sono invitati a esprimersi su come spendere le risorse pubbliche. Sempre in Brasile, in Russia e ultimamente persino nelle Filippine, si registrano casi di leggi fatte con il concorso diretto del popolo: «Quando il popolo può partecipare abbiamo leggi migliori e anche cittadini migliori » secondo il senatore filippino Teofisto Guingona, promotore del “Crowdsourcing Act”.
Ma chi ha fatto della democrazia partecipativa un metodo sviluppando addirittura una piattaforma apposita è il partito pirata tedesco.
A loro si deve la nascita di Liquid Feedback, uno strumento che favorisce non tanto il dibattito, ma la competizione di idee al fine di prendere decisioni. Gli stessi “pirati” però non enfatizzano il ruolo di Liquid Feedback che è dai più considerato un esperimento, al pari di Adhocracy, la piattaforma web usata dal partito socialdemocratico e dal Parlamento federale per alcuni temi. Intanto Liquid Feedback è arrivata in Italia. Da mesi si dice che l’abbia adottata il Movimento 5 stelle, sicuramente la sta utilizzando Michele Santoro per il programma tv Servizio Pubblico.
Sotto la guida di un “pirata” svizzero, Carlo Brancati, in un paio di settimane è stato superato il traguardo dei cinquemila iscritti. Proposte? Tante, ma piuttosto confuse per ora. Il meccanismo non è ancora chiaro e c’è il rischio, dice lo stesso Brancati, che in rete viga una sorta di “dittatura degli attivi”, ovvero vince chi sta più tempo connesso a ribattere su ogni punto, non chi ha le idee migliori: «Stiamo lavorando per farla funzionare».
In questo scenario “liquido”, DeRev arriva al momento giusto. È facile, è coinvolgente, è utile. Pare che i candidati alla primarie del Pd abbiano già  prenotato spazi per fare comizi dal vivo di cinque minuti via Web. È così per Nicola Zingaretti per la corsa alla Regione Lazio e anche l’ex ministro Giulio Tremonti, scottato dalla recente esperienza come blogger dove i primi post sono stati travolti da commenti negativi, sarebbe tentato dalla “rivoluzione”. Ma quelli su cui punta davvero Roberto Esposito ancora non li conosce nemmeno lui. Sono gli outsider: cittadini con una grande idea e tanta voglia di cambiare le cose. «Se tutto va bene, in sei mesi avremo dei nuovi leader».

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