Aerei F-35, anche Obama pensa alla retromarcia
Too big to fail and too big to succeed”, troppo grande per fallire, ma anche troppo grande per avere successo, scrive il New York Times a proposito del programma per i cacciabombardieri F-35 riportando l’opinione dell’analista di un centro strategico di ricerca di Washington. Imbrigliato dalle sue mille contraddizioni interne, il piano per la realizzazione del sistema d’arma più costoso di tutta la storia si impantana sempre più. Secondo il grande giornale americano sono ormai assai tesi i rapporti tra il Pentagono, cioè il committente, e la Lockheed Martin, la grande industria americana che dovrebbe produrre i velivoli. Il Pentagono dimostra perplessità crescenti nei confronti dei costi incerti del programma mentre il presidente Barack Obama è impegnato nella ricerca di risorse per ridurre il deficit senza aumentare le tasse. Lockheed Martin risponde che il Pentagono non sa decidere e tarda a dare il suo ok definitivo.
LA FACCENDA ci riguarda da vicino e non solo perché l’Italia partecipa in modo attivo al progetto ed è in pista per l’acquisto di 90 velivoli con una spesa gigantesca, mai quantificata in maniera definitiva perché i costi ballano in continuazione, anche se di sicuro superiore ai 10 miliardi di euro e forse vicina ai 18, come hanno scritto dopo un’attenta analisi gli autori di Armi, un affare di Stato (edizione Chiare-lettere). Ci riguarda anche perché la tentazione americana potrebbe essere quella di contenere i costi interni facendo crescere la partecipazione degli alleati, a cominciare dall’Italia che in prima battuta si era impegnata a comprare la bellezza di 130 esemplari. Anche se ridotta, la spesa per gli F-35 resta proibitiva per le nostre finanze e politicamente poco sostenibile in un momento di crisi.
ALIMENTATO da decine di organizzazioni pacifiste e religiose, il movimento per l’annullamento o almeno per il drastico ridimensionamento del piano per gli F-35 di cui è portavoce Francesco Vignarca, ha superato da tempo il confine di una battaglia minoritaria e di testimonianza. L’affare cacciabombardieri sta diventando uno degli argomenti di punta del dibattito politico. Ieri, per esempio, il presidente dei sindaci, Graziano Del Rio insieme a Gianni Alemanno (Roma), Marco Rossi Doria (Genova), Giorgio Orsoni (Venezia), Piero Fassino (Torino), Alessandro Cosimi (Livorno), Attilio Fontana (Varese), ha chiesto al governo di tagliare altri cinque cacciabombardieri per evitare la diminuzione dei fondi agli enti locali prevista dalla spending review e per modificare il patto di stabilità e l’Imu (l’imposta sulla casa). Il rappresentante dei piccoli comuni, Mauro Guerra, ha spiegato che “cinque F-35 in meno valgono 1 miliardo di euro”. Nel faccia a faccia tra i candidati per le primarie Pd su Raiuno, il segretario Pier Luigi Bersani, inoltre, ha posto proprio la questione degli F-35 tra i temi centrali di un ipotetico colloquio futuro con il presidente Obama al quale chiederebbe un ripensamento sul programma. A livello ufficiale la firma italiana per l’ordine dei 90 F-35 ancora non c’è e nel frattempo si è aperto uno spiraglio per rivedere l’intera faccenda. Il Senato ha approvato qualche giorno fa una riforma della Difesa che ridimensiona i poteri del ministro in tema di acquisto di sistemi d’arma e in parte li trasferisce al Parlamento. La legge ora è all’esame della commissione della Camera e prevede che il voto di deputati e senatori sui piani militari di investimento abbia un valore non solo indicativo, ma vincolante. In pratica il nuovo testo corregge in modo sostanziale la legge della fine anni Ottanta che porta la firma del senatore comunista Aldo Giacchè.
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