by Sergio Segio | 17 Ottobre 2012 8:37
Debertolis rettifica i dati ufficiali del governo presentati alla Camera nel febbraio scorso La notizia ora è ufficiale: i 90 cacciabombardieri Lockheed Martin F-35 che l’Italia ha deciso di comperare costeranno più del doppio di quanto dichiarato dal ministero della Difesa in un’audizione ufficiale alla Camera nello scorso febbraio. Lo ha ammesso con nonchalance lo stesso segretario generale del ministero della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti, il generale Claudio Debertolis, raccontando in un’intervista pubblicata dal magazine Analisi Difesa i dettagli del nuovo programma italiano di acquisto del Joint Strike Fighter, dopo il taglio di 41 unità deciso a febbraio dal governo Monti.
Debertolis chiarisce che il prezzo di 80 milioni di dollari per ciascuno dei primi tre F-35 di tipologia A, quelli a decollo convenzionale (previste 60 unità ), si riferiva «a una pianificazione ormai superata dalle vicende del programma e verteva sul solo aereo “nudo”. Aggiornando i prezzi e aggiungendo tutte le altre voci di spesa – riferisce Debertolis nell’intervista – il costo di questi primi Jsf italiani in realtà sarà più del doppio». Non solo: Debertolis ha anche ammesso che «l’impianto Faco sulla base aerea novarese (Cameri, ndr) partirà a regime ridotto con inevitabili aggravi di costo cui si aggiunge per il governo italiano, che li ha spesi, l’onere di recuperare i circa 800 milioni di euro investiti per realizzare la struttura». Chi ci guadagna, invece, rivela ancora il generale, è Finmeccanica che, insieme alle altre aziende che partecipano al programma, ha una prospettiva di «ritorno industriale complessivo entro il 2026 di circa 13 miliardi di dollari, pari al 77% del nostro impegno finanziario globale nel programma».
«Le bugie volano basse», è il commento della Rete italiana per il Disarmo che dà grande risalto alla notizia e rivendica giustamente di sostenere «da sempre una forte e sospetta sottostima dei costi dichiarati dal nostro governo per l’acquisto di questi aerei». Per la campagna «Taglia le ali alle armi» contro l’acquisto degli F-35, la Rete per il Disarmo aveva raccolto le firme di 77 mila cittadini, 660 associazioni e il sostegno di oltre 50 enti locali, tra regioni, province e comuni. Eppure il ministero della Difesa, e l’Aereonautica in particolare, avevano sempre «cercato di gettare acqua sul fuoco delle polemiche e delle richieste di chiarimento provenienti in particolare dalla nostra Campagna», come ricorda Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo.
«In 11 anni – afferma ancora Debertolis nell’intervista rilasciata ad Analisi Difesa – il costo del programma Jsf è aumentato a una media giornaliera di 40 milioni di dollari». L’Italia, spiega il generale di Squadra aerea, comincerà ad acquistare i 30 esemplari di F-35B, i cacciabombardieri a decollo corto e atterraggio verticale, «il cui contratto d’acquisto è previsto nel 2015» – e per il quale, è il caso ora di ribadirlo, non esistono penali in caso di rescissione del contratto – «quando, secondo le previsioni del bilancio della Difesa 2013 dalla Casa Bianca, il costo medio dell’aereo “nudo” sarà di 137,1 milioni di dollari (106,7 milioni di euro, ndr), per scendere poi a 125,1 nel 2016 e a 118.8 nel 2017». Mentre per gli F-35A, i cui primi tre esemplari usciranno dalla catena di montaggio di Cameri nei primi mesi del 2015, «per la sola configurazione standard (quindi con tutta una serie di elementi ancora da aggiungere) – puntualizza la Rete per il Disarmo – si parla di un costo tra i 100 e i 107 milioni di euro, cioè oltre il 25% in più di quanto dichiarato a febbraio 2012 dagli stessi esponenti della Difesa».
Purtroppo, è un vecchio vizio italiano che ha contagiato anche il governo dei super-tecnici votati al rigore (degli altri), quello di veder crescere costantemente i costi dichiarati ufficialmente al Parlamento italiano per giustificare la decisione: «È già avvenuto nel passato per altri aerei, come a suo tempo il Tornado e poi l’Eurofighter», ricorda Maurizio Simoncelli dell’Archivio Disarmo che chiede ora al governo di riferire con urgenza al Parlamento e di «mostrare senso di responsabilità almeno nei confronti dei cittadini italiani costretti a forti sacrifici, terminando questa serie di dati parziali e rivendendo la propria decisione». Anche perché, come spiega sempre il segretario della Difesa Debertolis, «il Pentagono è preoccupato fra l’altro per le difficoltà di sviluppo del software dell’aereo, la non corretta pianificazione dei collaudi, la vulnerabilità ai cyberattack del sistema logistico integrato, e da ultimo, dopo la distruzione in Afghanistan di 8 Harrier schierati su una base avanzata da parte di una pattuglia appiedata di Talebani, per le prospettive operative della versione Stovl (F-35B, ndr)».
Insomma, «aumenta proprio tutto, pure gli F-35», è la reazione ironica di Nichi Vendola che su twitter si chiede: «Quante altre scuole occorrerà chiudere? Di quanti docenti dovrà fare a meno l’istruzione pubblica e l’università ?». Dello stesso tono anche il presidente vicario dei deputati dell’Idv Fabio Evangelisti, che definisce «inutile e dannoso» il programma d’acquisto «che ci costa circa 15 miliardi di euro». Mentre il Consiglio regionale della Toscana ha approvato all’unanimità una risoluzione per chiedere al governo di rivalutare il programma, «anche in considerazione di quanto queste risorse potrebbero essere utili per la difesa dello stato sociale, dei cittadini più deboli, per la ricerca, l’istruzione, l’innovazione ecologica».
Tornano però alla mente le parole del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola quando, nel dicembre scorso, ai giornalisti che gli chiedevano se non fosse il caso di fare cassa tagliando le spese militari rispondeva: «Non credo proprio». E probabilmente non ha cambiato idea.
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