Vince Fatah, non la Palestina

by Sergio Segio | 10 Ottobre 2012 8:10

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GERUSALEMME. Parlando ai giornalisti, qualche giorno fa, Ghassan Shakaa aveva già  il tono del sindaco di Nablus. «Faremo tante cose per i giovani che non hanno molto a disposizione in questa città  – prometteva – avvieremo progetti di sviluppo e di recupero di aree verdi per le nostre famiglie. Nablus risorgerà ».
Tono più che giustificato. Shakaa, a meno di sorprese clamorose, presto tornerà  ad essere il primo cittadino della città  più popolosa (120mila abitanti) della Cisgiordania. Grazie all’assenza di liste del movimento islamico Hamas – che boicotta la consultazione e non ha permesso il voto a Gaza -, il 20 ottobre Fatah tornerà  a dominare le amministrazioni comunali e locali dopo averle perdute in buona parte nel 2005. Fu quello il segnale più importante della vittoria netta alle legislative che Hamas avrebbe conseguito l’anno successivo.
Quei giorni appaiono distanti a personaggi come Ghassan Shakaa, che, con la sua famiglia, domina la scena politica di Nablus sin dagli anni ’50 e che adesso si prepara al grande rientro. Una situazione che dovrebbe ripetersi in buona parte dei 245 consigli di villaggi, 98 consigli comunali e 10 consigli locali che andranno al voto. Assenti i rivali, i candidati di Fatah, quelli “indipendenti” e in misura molto minore i candidati della sinistra, avranno vita facile. «Se Hamas vuole la sua fetta di torta allora deve partecipare», taglia corto Shakaa, già  sindaco di Nablus per dieci anni, dopo gli accordi tra Olp e Israele del 1993-94 che sancirono la nascita dell’Autorità  nazionale palestinese (Anp). A contrastarlo, con poche speranze, ci sono solo Amin Makboul, un veterano di Fatah che guida la lista «Indipendenza e Sviluppo» e i candidati della inconsistente «Nablus per Tutti».
«Shakaa e Makboul sono due facce della stessa medaglia e io non ho ancora deciso se andrò a votare. Con Hamas sarebbero state elezioni vere», spiega Maher Salah, un commerciante di detersivi.
Altri abitanti dicono che il sindaco uscente, l’islamista Adli Yaesh, «ha fatto bene» e che avrebbe meritato la riconferma. E altri ancora non hanno esitazioni ad affermare che non avrebbero votato per la lista del movimento islamico. Motivo? Non ideologico o di schieramento politico ma per la paura di ulteriori riduzioni dell’aiuto occidentale ai Territori occupati e di inevitabili ritorsioni israeliane nel caso di un nuovo successo elettorale di Hamas. Khalil Shikaki, un noto analista politico, sostiene che se si tenessero oggi le elezioni legislative, Fatah le vincerebbe. Una previsione che altri esperti non condividono.
Adesso però si vota per rinnovare i consigli comunali e locali e per eleggere i sindaci. E il dato più rilevante di questa consultazione non è come ripetono i media vicini all’Anp «il ritorno alle urne» di centinaia di migliaia di palestinesi per la prima volta dal 2006 ma la tragica conferma che la riconciliazione nazionale palestinese ormai è un miraggio.
«Il 20 ottobre è la prova che le due entità  (Cisgiordania e Gaza, ndr) procedono verso una separazione sempre più netta, inesorabile, sebbene non dichiarata», dice Hani Masri, il presidente di «Badael», un think tank di Ramallah. Le due parti offrono le loro motivazioni. Quelli di Fatah affermano che non si potevano non rinnovare i consigli locali, “scaduti” due anni fa e che avrebbero dovuto essere rieletti nel luglio 2010. «Non possiamo rimandare di continuo il voto amministrativo – ha detto Abdullah Abdullah, parlamentare di Fatah -. La riconciliazione è importante ma dobbiamo anche occuparci di questioni come l’acqua, la raccolta dei rifiuti, l’elettricità , le strade. Dobbiamo rivitalizzare il mandato dei leader comunali. È la democrazia». Quelli di Hamas replicano che era impossibile partecipare al voto in assenza di un accordo di riconciliazione e di fronte alle campagne di arresti che l’Anp compie contro militanti e simpatizzanti del movimento islamico. «Appena qualche giorno fa, ad esempio, oltre 150 dei nostri attivisti sono stati arrestati dalla polizia dell’Anp e solo 40 sono stati liberati. Prendere parte al voto sarebbe stato insensato in queste condizioni», denuncia Mahmud Rahmi, un deputato di Hamas. Accuse che l’Anp respinge ma che sono di recente sono state confermate anche dai centri per i diritti umani.
In ogni caso Hamas non resta in attesa degli eventi e, grazie anche all’appoggio crescente di alcuni paesi arabi, poco alla volta sta creando uno staterello islamico a Gaza. Nelle scorse settimane il vice ministro degli esteri Ghazi Hamad aveva annunciato corsi di formazione per «diplomatici» di Gaza, evidentemente alternativi a quelli dell’Olp. Ora si apprende che il Qatar, principale sponsor economico di Hamas e artefice del divorzio tra la Siria di Bashar Assad e il movimento islamico palestinese, si prepara ad aprire una «ambasciata» a Gaza City, anche se ufficialmente sarà  descritta come una semplice «rappresentanza qatariota».
In questo quadro sconfortante per le aspirazioni palestinesi di fine dell’occupazione militare israeliana e di ricostruzione dell’unità  nazionale, l’unica buona notizia dal voto del 20 ottobre è la partecipazione delle donne: 1.100 sui circa 5mila candidati. Più o meno una su cinque. La percentuale è largamente sbilanciata a favore degli uomini ma è comunque un segnale positivo, unito a quello della presentazione della lista «Partecipando, possiamo», legata a un piccolo partito di donne che correrà  a Hebron.

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