Via libera di Bruxelles alla Tobin tax a 11

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BRUXELLES — La Commissione ha dato ieri il suo via libera ad un cooperazione rafforzata tra undici Paesi dell’eurozona per applicare la tassa sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin Tax. Si tratta di un atto formale, ma che apre la fase più delicata del negoziato sulle aliquote, sul campo di applicazione, sulla titolarità  e sulla destinazione dei fondi che verranno raccolti con la nuova imposta. E in attesa di conoscere dettagli così importanti, non mancano perplessità  e timori per gli effetti che potrà  avere.
Nel dare il suo beneplacito alla cooperazione rafforzata, Bruxelles motiva la decisione spiegando che gli undici Paesi che hanno aderito (Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Austria, Slovacchia, Portogallo, Grecia, Slovenia ed Estonia) «rappresentano due terzi dell’intera economia dell’Unione europea ». Tuttavia tre quarti delle transazioni finanziarie stipulate in Europa si svolgono sulla piazza di Londra, e non a caso la Gran Bretagna ha escluso di partecipare all’iniziativa. Se alla defezione inglese si aggiungono quelle del Lussemburgo, dell’Olanda e dei Paesi scandinavi, il risultato è che la tassa dovrebbe dare un gettito pari ad un quinto solamente dei 57 miliardi annui che erano stati stimati qualora fosse stata applicata a tutti i 27 membri dell’Unione europea.
Resta ora da definire quali saranno le aliquote applicate, e a quali transazioni si applicheranno. La Commissione dovrebbe presentare presto una nuova proposta sulla base di quella che aveva sottoposto ai Ventisette: 0,1 per cento per lo scambio di azioni e obbligazioni e 0,01 per cento sui derivati. Dalla norma dovrebbero essere esclusi i titoli di Stato e gli investimenti di lungo periodo. Ma ieri il ministro dell’economia Vittorio Grilli ha messo in guardia sul fatto che si tratta di «una tassa delicata che, se mal concepita o mal pesata può provocare l’evaporazione della base imponibile». Sul tema anche la Banca centrale è cauta e Draghi potrebbe affrontare l’argomento nel corso della cruciale audizione che terrà  oggi davanti al Parlamento tedesco.
Infine occorrerà  chiarire quale sarà  la destinazione dei proventi dell’imposta. Francia e Austria sarebbero favorevoli ad utilizzarla per un fondo europeo dell’educazione. La Germania pensa invece ad un fondo per finanziare le politiche di sviluppo della competitività .
A questo proposito si va facendo sempre più strada l’idea, contemplata anche nelle conclusioni dell’ultimo vertice europeo, di vincolare i governi dell’eurozona non solo alla disciplina di bilancio, ma anche a politiche specifiche che migliorino la competitività  e la produttività . Lo strumento per farlo sarebbero dei «contratti» vincolanti che ciascun Paese sarà  chiamato a sottoscrivere con la Commissione sulla base delle raccomandazioni specifiche di politica economica per ogni Stato membro. Su questo punto è tornato ieri il presidente della Commissione Barroso, intervenendo davanti al Parlamento europeo: «servono accordi contrattuali specifici», ha spiegato, che vincolino i governi «ad attuare politiche economiche in grado di contrastare gli squilibri». L’idea piace anche a Monti, che ieri ha ricordato come « si sta cercando di fare qualche passo avanti per avere un po’ di pressione cogente anche sulle riforme strutturali, oltre a quella, scomoda ma utile, sulla disciplina fiscale».


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