Via libera ai viaggi dei cubani all’estero

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SUL Granma, organo ufficiale del Pcc, l’ultima riforma di Raàºl, la più attesa e desiderata da numerosi cubani, è poco più di mezza paginetta. Una svolta quasi in sordina, più volte annunciata e finalmente realizzata, che consentirà  di viaggiare fuori dal paese senza l’odiato “permesso di uscita”, preziosissimo e abbastanza raro documento che fino ad oggi era indispensabile per recarsi all’estero. Il D-Day per l’abolizione di una regola in vigore dal 1961 è il prossimo 14 gennaio. La nuova legge elimina sia la “carta bianca”, il permesso d’uscita, che la “lettera di invito” da parte di una persona straniera o di un ente che l’aspirante viaggiatore doveva esibire per ottenere il passaporto. Ed estende a due anni, 24 mesi, la durata del periodo massimo di residenza all’estero — che adesso è di undici mesi — dopo il quale si viene considerati “traditori” espatriati ed eventuali beni posseduti sull’isola vengono automaticamente confiscati.
È una riforma importante che non solo agevola noiosi e costosi tramiti burocrati ma che premia anche tutta quella parte di popolazione cubana che ha parenti all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, ed ha grazie a ciò anche budget sufficienti per viaggiare. Ma è anche una riforma che non convince del tutto soprattutto per un paio di passaggi contenuti nel decreto che dovranno essere specificati entro gennaio. Nel testo pubblicato ieri dalla Gazzetta ufficiale si legge: «La attualizzazione della politica migratoria terrà  conto del diritto dello Stato rivoluzionario di difendersi dalle ingerenze e dai piani sovversivi del governo nordamericano e dei suoi alleati. Per questa ragione si manterranno misure dirette a preservare il capitale umano creato dalla Rivoluzione». È un doppio riferimento che chiama in causa la famosa legge, conosciuta come
wet feet dry feet t (piedi bagnati, piedi asciutti), che garantisce ad ogni cubano che tocchi terra americana la concessione automatica del permesso di residenza negli Stati Uniti e la dissidenza interna.
È probabile che per alcune categorie le restrizioni sui viaggi rimarranno in vigore. Sicuramente per i medici (per evitare “fughe di cervelli”) e per i militari. Ma quasi certamente anche per membri dell’opposizione interna e per alcuni sportivi, come i giocatori di pallacanestro e di baseball, richiestissimi dalle grandi e ricche compagini dei campionati americani. La svolta, infatti, è stata accolta con scetticismo e perplessità  fuori dall’isola. E qualcuno, come i movimenti anticastristi di Miami (la città  della Florida dove risiede la più vasta comunità  di cubani in esilio), parla già  di “riforma truffa” sostenendo che il “filtro migratorio” proseguirà  ma sarà  esercitato sulla concessione dei passaporti piuttosto che sul “permesso d’uscita”.
Le durissime restrizioni sui viaggi vennero imposte da Fidel Castro all’inizio degli anni Sessanta per fermare l’esodo di massa allora in corso dall’isola dopo l’ondata di nazionalizzazioni e l’abolizione della proprietà  privata. Chi lasciava il paese senza permesso era dichiarato “disertore”, tutti i suoi beni venivano confiscati, perdeva la nazionalità  e la possibilità  di fare ritorno sull’isola. Per mezzo secolo viaggiare fuori dall’isola è stato un privilegio riservato a pochi gruppi. Come gli alti funzionari della nomenclatura e le loro famiglie mentre tutti gli altri erano condannati a lunghe attese o magari costretti a rinunciare. I casi emblematici di questa politica sono migliaia. Sportivi, scrittori, musicisti, registi, fotografi sono riusciti a lasciare Cuba solo illegalmente o dopo lunghi scioperi della fame e proteste internazionali in loro favore. Ora Raàºl gratifica i desideri della piccola classe media emergente nell’isola grazie alle sue riforme economiche e alle rimesse dei parenti all’estero. C’è da sperare che ora anche Washington — che ieri ha accolto con “soddisfazione” la riforma — faccia la sua mossa autorizzando gli americani a viaggiare liberamente sull’isola del
socialismo tropicale.


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