by Sergio Segio | 9 Ottobre 2012 7:06
CARACAS — La capitale di Chavezlandia s’è svegliata pianissimo. Negozi chiusi fino a tardi, pochissima gente per le strade intorno agli uffici ministeriali del centro. Traffico quasi assente. Ieri mattina da est a ovest la città si attraversava in meno di mezz’ora quando un altro lunedì qualsiasi non ne basterebbero meno di tre. Dietro al “centro Lido” nel collegio che ospitava il “Comando” di Capriles ci sono solo addetti alle pulizie che imbustano gli avanzi della festa mancata, minerale e panini. Nelle mille anime dell’opposizione s’è già aperta la resa dei conti. Chi spera che Capriles resti ragiona sui dieci punti di differenza nel risultato finale (Chavez 54,8%, Capriles 44,7%) come il miglior risultato degli ultimi quattordici anni. Tra i due fronti ci sono un milione e mezzo di voti quando nei periodi migliori Chavez era arrivato ad avere un vantaggio superiore ai tre milioni. Per gli altri invece la sconfitta non ammette giustificazioni. Il presidente bolivariano della rivoluzione socialista è stato riconfermato nonostante tutte le difficoltà del momento. Malattia, crisi energetica (il Venezuela è martoriato dai black-out elettrici), criminalità , corruzione governativa. «Non dovete sentirvi sconfitti ma orgogliosi — ha detto ieri notte Capriles ai suoi elettori — perché abbiamo seminato idee e un progetto di società che daranno i loro frutti». Ma adesso l’unità dell’opposizione battuta e depressa può sfasciarsi facilmente.
Al 23 de enero, il bastione chavista, Merwin s’è svegliato tardi dopo una nottata tra fuochi d’artificio, canti, applausi e finalmente un po’ di birra (vietata nei giorni di vigilia elettorale) a ridosso del palazzo presidenziale di Miraflores insieme ad una immensa folla con le magliette rosse che festeggiava la vittoria. Il suo lavoro di videomaker nella nuova tv del “barrio” è salvo. Anche José Villanueva è felice. L’altra settimana ha consegnato il primo blocco di case popolari ai baraccati del Colegio di Ingegnieros.
E le famiglie stanno ancora facendo il trasloco. Dalle baracche alle case ci sono meno di cento metri. «Siamo un esempio di rivoluzione dal basso — dice José — E’ il comitato di quartiere che ha gestito tutto il lavoro di costruzione delle case». Josè ha sposato una giovane medico cubano che è venuta qui con le missioni di solidarietà per la salute e insiste sul suo tasto preferito.
«Attenti, questa non è Cuba. Io ci sono stato laggiù, quella è una dittatura. La nostra no, qui siamo in democrazia». Ramon invece che lavora in una fabbrica di scarpe spera che adesso il presidente onori il suo “mea culpa”. «Chavez — dice — deve cacciare i corrotti dal governo e fare molta più attenzione su come si spendono i soldi del petrolio. Ci sono troppe cose che non mi piacciano ma votare per l’opposizione mai. E chi si fida di quelli ». Dall’altra parte della città , Betsy che fa la sceneggiatrice dalla depressione post sconfitta ha quasi perso la parola. «Io non sono nata in un paese così — dice — non riconosco più il mio Venezuela e con altri sei anni al potere Chavez lo distruggerà definitivamente ».
Chi non segue Chavez lo odia e viceversa. E’ una spaccatura trasversale che non trova alternative. Un po’, adesso che non ha stravinto come sei anni fa, preoccupa anche il presidente bolivariano. «Superare l’odio sociale » è stato anche uno dei leitmotiv del suo discorso notturno dal “balcone del popolo” a vittoria ottenuta.
Tra tre mesi ci sono le ammi-nistrative, si rinnovano governatori e sindaci. E per l’opposizione c’è il pericolo che dopo la sconfitta si rompano le fila. Da oggi tutti aspettano le prime mosse di Chavez che ieri notte ha già detto che il suo nuovo mandato inizia subito, non il prossimo gennaio.
Chi sarà il nuovo vicepresidente se l’attuale, Elias Jaua, si candida governatore nello Stato di Capriles? E la svalutazione del bolivar? Non è più possibile sostenere il blocco del cambio ai livelli attuali (un terzo del valore reale del dollaro sul bolivar) senza dissanguare le casse dello Stato in un paese che importa quasi l’ottanta percento di ciò che consuma. All’interno del chavismo c’è chi tira la maglietta al presidente per una nuova accelerazione del progetto socialisteggiante. L’area più radicale vorrebbe nuove nazionalizzazioni e un sempre maggiore controllo dello Stato sull’economia. Ma i problemi economici sono tanti e l’equilibrio difficile. Anche le “misiones”, i progetti sociali, fanno parte dell’archeologia del chavismo, bisogna trovare nuovi stimoli per sostenere il progetto e il consenso. D’altra parte, come ricorda uno scrittore biografo di Chà¡vez, Alberto Barrera Tyszka, nelle prime pagine del nuovo programma di governo ci sono «la transizione al socialismo » e «la radicale soppressione
della logica del capitale».
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