Vatileaks, sentenza tra macerie e misteri

by Sergio Segio | 7 Ottobre 2012 16:43

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Anche l’Imputato ha dato il suo contributo alla rappresentazione. Ha recitato la parte del colpevole, addossandosi ogni responsabilità  e informando il mondo intero del suo amore sviscerato per la Chiesa ed il Papa. Come da copione.
IL PROCESSO si chiude così, con la Difesa che osanna la sentenza come “buona ed equilibrata”. Un’operazione lampo, realizzata in due udienze soltanto. Tolta la prima, dedicata a questioni procedurali, e l’ultima riservata a veloci arringhe, una telegrafica comunicazione di Paolo Gabriele e la sentenza. Il Vaticano voleva chiudere rapidamente il procedimento anche per cancellare l’immagine di una Curia nido di vespe, il giudice Giuseppa Dalla Torre ha centrato l’obiettivo. Ha agito in piena indipendenza, assicura il portavoce papale Lombardi. Excusatio non petita. Ma non c’è da dubitarne. Quando si agisce ispirati dalla “Santissima Trinità ” e in nome del pontefice “gloriosamente regnante”, si sa bene come muoversi.
C’è un solo neo. Nella platea dei giornalisti di tutto il mondo, che attendevano l’esito del procedimento, non c’è n’è uno – tranne i coreuti della “Chiesa ha sempre ragione” – che creda alla favola del maggiordomo regista solitario della più grande operazione di scardinamento dell’immagine della Curia degli ultimi secoli.
Messo il coperchio sulla pentola, il Vaticano non può cancellare ciò che Vatileaks ha portato alla luce. Un Segretario di Stato come Tarcisio Bertone, che invece di guidare con mano ferma e diplomatica la Curia, entra in conflitto con cardinali di primo rango come Nicora e Tettamanzi. Un pontefice, che assiste impotente e non ha la prontezza (o il temperamento di governante) di ordinare un’inchiesta indipendente sulla corruzione negli appalti vaticani. Quel presepe natalizio che con Viganò costa improvvisamente centocinquantamila euro di meno, non è l’invenzione di un visionario. à‰ una prova ingombrante. Egualmente resta ingombrante il “ripassi l’anno prossimo” che Moneyval ha rivolto a luglio alla Santa Sede a proposito della banca vaticana, giudicata non sufficientemente trasparente e per la quale le autorità  finanziarie europee richiedono urgentemente un “supervisore indipendente”. Richieste come un macigno. Benedetto XVI, che nel dicembre 2010, aveva decretato che qualsiasi operazione finanziaria degli uffici della Santa Sede potesse essere sottoposta all’ispezione di un’autorità  di controllo nuova di zecca (l’Autorità  di informazione finanziaria), ha accettato impotente che otto mesi dopo il cardinale Bertone tagliasse le unghie ai controllori. Sono fatti che rimangono.
RESTANO APERTI molti misteri di questa congiura. Anzitutto la sproporzione tra la massa di documenti raccolti dal maggiordomo e i testi pubblicati dal Fatto Quotidiano o contenuti nel libro di Nuzzi o usciti da uffici diversi dalla segreteria papale. Nessuno può garantire che delle copie non siano ancora riposte in qualche nascondiglio. Inoltre il maggiordomo ha iniziato a raccogliere materiale scottante già  nel 2006, appena entrato in carica. Dunque vacilla la tesi dell’indignazione scatenata dalla vicenda Viganò (come da lui dichiarato). “Manipolabile e suggestionabile” è stato definito Gabriele in una delle perizie psichiatriche. Se agenti manipolatori ci sono, rimangono tuttora nell’ombra.
Come nei gialli l’ultima parola la pronuncia il maggiordomo: “Alla tavola del Santo Padre mi sono convinto quanto sia facile manipolare una persona, che ha in mano il potere decisionale”.

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