by Sergio Segio | 17 Ottobre 2012 7:44
Entrambi le parti in conflitto, il governo (di destra) colombiano del presidente Santos e le Farc (a cui probabilmente si sta agganciando il più piccolo Eln), hanno capito che la guerra civile strisciante da mezzo secolo combattuta in Colombia non può essere vinta manu militari.
L’unica soluzione è una soluzione negoziata e politica. Secondo gli esperti le Farc, nonostante negli 8 anni della presidenza Uribe abbiano sofferto colpi durissimi che ne hanno decapitato la leadership (Raàºl Reyes, Mono Jojoy, Alfonso Cano) e dimezzato le fila, hanno ancora sul terreno 8-10 mila combattenti (e l’Eln 1500-3000), e una presa effettiva in vari dipartimenti del paese (Cauca, Narià±o, Meta, La Gajira). Non basta che Usa e Ue le bollino come «terroristi» e «narco-trafficanti» per farle sparire.
Santos, il successore scelto «a dito» da Uribe e il suo ministro della difesa negli anni più bui della politica di «sicurezza democratica», ha capito che non c’è soluzione militare se non (forse) con altri 20 anni di guerra. Ha capito, a metà del mandato, che se vuole alimentare la sue chances di rielezione nel 2014 deve presentarsi come «l’uomo della pace». Anche perché Obama, se a novembre sarà ancora lui il presidente, con la crisi globale che infierisce è stanco di elargire i miliardi di dollari che dal 2000 sono piovuti con il Plan Colombia (infatti Obama si è felicitato fra i primi per il processo di Oslo fra gli ululati della destra repubblicana e degli ultrà di Miami). E anche perché la Colombia ha bisogno di rassicurare gli investimenti internazionali che stanno arrivando copiosi – dal Mercosud alla Cina – con un contesto di pacificazione interna. E di convogliare il 6% del suo prodotto interno lordo ora destinato alle spese militari su altre voci nel tentativo di riequilibrare uno sviluppo fra i più iniqui del mondo.
Non solo. Anche l’America latina spinge all’unisono per una soluzione politica e negoziata. Il Venezuela di Chà¡vez e la Cuba di Raàºl e Fidel sono stati, sono e saranno (se le cose andranno per il verso giusto a Oslo) i principali propulsori del processo di pace. A fine ottobre, dopo l’apertura di oggi nella capitale norvegese, tutta la compagnia dovrebbe trasferirsrsi all’Avana per proseguire – e concludere – i negoziati e arrivare, in un arco impossibile da precisare ma che potrebbe essere di 8-12 mesi, verso l’accordo definitivo per la fine della guerra civile. Sarà un negoziato difficile per la Colombia. Ma sarebbe un successo incontestabile anche per il Venezuela di Chà¡vez e la Cuba castrista. E anche per le Farc che, nonostante tutto, sono riuscite a non farsi spazzare via e a obbligare il governo colombiano (con relativi sponsor internazionali) a cercare una soluzione negoziata della guerra più lunga dell’America latina.
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UNA OLANDESE NELLA DELEGAZIONE DELLE FARC
Tanja, la «guerrillera internacionalista»
34 anni, da dieci nella fila della guerriglia, laureata in filologia ispanica. Sarà la portavoce La ragione ufficiale del ritardo nell’apertura dei negoziati di Oslo è dovuta alle forti piogge in Colombia. In realtà sembra sia stata la decisione inattesa delle Farc di inserire, nella sua delegazione, la «guerillera internacionalista», Tanja Nijmeijer, olandese di 34 anni che una decina d’anni fa, dopo un viaggio in Colombia, si è «arruolata» nelle fila della guerriglia. Tanja, nom de guerre «Alexandra» o «Eillen», dovrebbe fungere da portavoce delle Farc a Oslo, forte della sua padronanza delle lingue (ne parla 4) e del suo appeal che, probabilmente, attrarrà l’attenzione dei media europei e americani. Lo stesso leader delle Farc, «Timochenko», ha assicurato che il suo ruolo «non sarà secondario» e solo legato al suo (bell’) aspetto. Tanja è nata a Denekamp, provincia olandese di Overijssel. Laureata in filologia ispanica all’università di Groninga, arrivò a Pereira, Colombia, nel 2000 con una ong europea per partecipare alla «Carovana per la vita» e documentare la situazione dei campesinos e dei desplazados dalla guerra. A Bogotà¡ entrò in contatto con le Farc e nel 2002 decise di entrare a tutti gli effetti nel Fronte Antonio Narià±o del gruppo guerrigliero. Pare abbia svolto tutti i compiti del buon guerrigliero: da preparare il rancio fino a tradurre documenti per il segretariato di 7 membri e a partecipare ad azioni armate. Nel settembre 2010 quando il leader delle Farc, Mono Jojoy, fu ucciso in un raid dell’esercito fu data per morta anche lei, ma poi riapparve con uniforme e fucile sfidando chi si proponeva di «liberarla». La sua famiglia, in Olanda, voleva in ogni modo che lei rinunciasse e tornasse all’ovile. Ora, almeno, avranno sue notizie di prima mano.
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